sabato 4 aprile 2009

L'antico rapporto tra uomo, sole e cielo


" La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi e altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto".
(Galileo Galilei).

Questo scritto di Galileo Galilei, esprime oltre ad una infinita fiducia nella capacità umana di comprendere l'universo anche una implicita spiritualità propria di alcuni dei più grandi scienziati mai esistiti come Newton e Einstein.

Il laico che vanta indipendenza di giudizio e azione rispetto alle posizioni e alle imposizioni di un potere teocratico qualsiasi, non necessita di un luogo espressamente dedicato per riconoscere Dio, tuttavia è importante anche e soprattutto per un laico mantenere un contatto anche fisico con la divinità.

Per concretizzare i mezzi adeguati ad indagare e mantenere questo contatto è fondamentale leggere la natura stessa del rapporto tra spirito e materia.

"E due grandi luminari Iddio creò, grandi nel loro scopo per l'uomo. Il maggiore a governar di giorno, il minore di notte ad alternarlo".
(Milton, Sansone agonista).

Dio ha scritto l'universo nei termini mirabilmente espressi da Galileo. Egli si esprime e si manifesta a noi attraverso le leggi che regolano l'universo, noi forse non possiamo comprendere i pensieri di Dio (obiettivo che si poneva Einstein "Non mi interessa questo o quel particolare fenomeno fisico, io voglio sapere cosa pensa Dio!") ma possiamo percepirlo nel suo creato.



Per Milton lo scienziato italiano rappresenta un simbolo della Nuova Scienza e un martire della libertà intellettuale. Così l’incontro tra Milton e Galilei è stato interpretato da molti, anche a livello popolare. Lo testimoniano le numerose opere poetiche e pittoriche che sono state dedicate all’episodio, come l’incisione pubblicata sull’Art Journal di Londra nel 1864 che è sopra riprodotto.

Milton fa riferimento a Galileo in tre occasioni nella sua opera principale, il “Paradiso Perduto” (Paradise Lost), un poema epico in dodici canti sulla creazione, la caduta dell’uomo, la sua cacciata dall’Eden, lo schema divino della sua redenzione. Il poema, considerato uno dei capolavori della letteratura universale, fu scritto tra il 1658 e il 1665. Tutte tre le volte il pisano è associato allo strumento che gli aveva assicurato la fama, il telescopio. Galileo è il solo contemporaneo menzionato nel poema, una volta per nome e due volte attraverso una perifrasi.

Le macchie solari
Il secondo accenno a Galileo contenuto nel Paradise Lost si trova nel terzo libro (vv. 588-590), nel passo in cui Satana atterra sul Sole prima di iniziare la sua discesa sull’Eden. In questa occasione Milton paragona l’angelo caduto a una macchia solare:
There lands the Fiend, a spot like which perhaps
Astronomer in the Sun's lucent Orbe
Through his glaz'd Optic Tube yet never saw.
Là approda il Demonio, una tale macchia che forse
l’Astronomo nella lucente Sfera del Sole
con il suo vitreo Tubo Ottico mai non vide.

È certo che Milton conoscesse gli scritti di Galileo sulle macchie solari, in cui di nuovo veniva criticata senza remore la posizione aristotelica, divenuta dottrina per la chiesa. In una lettera all’accademico dei Lincei Federico Cesi (colui che avrebbe inventato la parola “telescopio”), datata 12 maggio 1612, lo scienziato invia una copia delle sue prime osservazioni, dicendo:
Circa le quali macchie io finalmente concludo, e credo di poterlo necessariamente dimostrare, che le sono contigue alla superficie del corpo solare, dove esse si generano e si dissolvono continuamente, nella guisa appunto delle nugole intorno alla terra, e dal medesimo sole vengono portate in giro, rivolgendosi egli in sè stesso in un mese lunare con revolutione simile all'altre de i pianeti, cioè da ponente verso levante intorno a i poli dell'eclittica: la quale novità dubito che voglia essere il funerale o più tosto l'estremo et ultimo giuditio della pseudofilosofia, essendosi già veduti segni nelle stelle, nella luna e nel sole; e sto aspettando di sentir scaturire gran cose dal Peripato [l’insieme dei filosofi aristotelici, o peripatetici] per mantenimento della immutabilità de i cieli.Galileo chiaramente riconosceva la natura rivoluzionaria delle sue dichiarazioni, anche se ancora non si rendeva conto delle conseguenze che giudizi simili avrebbero creato sulla sua carriera e nei rapporti tra la chiesa e la nuova scienza che stava contribuendo a far nascere.

Il nocchiero nell’Egeo
L’ultimo riferimento a Galileo si trova nel quinto libro del poema (vv. 261-266). Questa volta il suo nome viene fatto direttamente, in un passaggio che descrive con intensità la discesa dell’arcangelo Raffaele, giunto ad ammonire Adamo per l’ultima volta:
(…) As when by night the Glass
Of Galileo, less assur'd, observes
Imagined Lands and Regions in the Moon:
Or Pilot from amidst the Cyclades
Delos or Samos first appearing kenns
A cloudy spot (…).
(…) Come quando di notte la Lente
di Galileo, meno sicura, osserva
Terre immaginate e Regioni sulla Luna:
o il Nocchiero in mezzo alle Cicladi
guarda il comparire di Delo o Samo,
una cupa macchia. (…).

Grazie al potere del suo strumento, Galileo è qui l’esploratore che cartografa le regioni del nostro satellite e scorge i contorni incerti di nuove terre, come il nocchiero di una nave che sia avvicina alle isole egee. Nel Sidereus Nuncius egli descrive la visione telescopica in termini entusiastici sin dall’inizio: nella dedica a Cosimo II de’Medici suggerisce che le stelle possono essere considerate incorruttibili monumenti. Prima di dedicare le lune di Giove appena scoperte alla famiglia regnante, afferma infatti:
Alcuni però che guardano a cose più salde e durature consacrarono la fama eterna di uomini sommi non a marmi o metalli, ma alla custodia delle Muse e agli incorrotti monumenti delle lettere. Ma perché ricordo queste cose? quasi che l'ingegno umano, contento di queste regioni, non abbia osato andar oltre: invece, guardando più lontano, avendo ben compreso che tutti i monumenti umani per violenza di tempeste o per vecchiezza alfine muoiono, pensò più incorruttibili monumenti, sui quali il tempo vorace e l'invidiosa vecchiezza non potessero reclamare diritti. E scrutando il cielo affidò a quei noti eterni Globi di chiarissime Stelle i nomi di coloro che per opere egrege e quasi divine furono stimati degni di godere insieme agli Astri l'eternità. Per questo non si oscurerà la fama di Giove, Marte, Mercurio, Ercole e degli altri eroi con i cui nomi si chiamano le Stelle, prima che lo splendore delle stesse Stelle.

In questo caso, tuttavia, Milton non sembra condividere l’entusiasmo dello scienziato: una nota di ambiguità emerge nel suo riferimento. La lente di Galileo è less assur’d, meno sicura, e osserva Imagined Lands (Terre immaginate). Al di là della celebrazione dell’invenzione e delle nuove osservazioni da questa rese possibili, emerge un sottile dubbio. Milton, il religioso poeta che fu ministro di Cromwell, nella maniera allusiva e contorta che caratterizza lo stile poetico della sua epoca, adombra l’idea che il nostro progresso nella conoscenza possa essere un’illusione e che la visione dell’uomo, per quanto prodigiosamente accresciuta dai nuovi strumenti, non potrà mai eguagliare quella divina. Una parola accompagna infatti tutti i riferimenti a Galileo e al telescopio: “macchia” (spotty Globe, a spot … yet never saw, a cloudy spot), quasi a significare che l’imperfezione riscontrata nel cielo sia la stessa dell’umanità che la osserva.

Immerso nella natura perché elemento di essa, l'uomo ha sempre avuto un rapporto stretto con gli astri; con il Sole principalmente, che da calore e vita, e con la Luna che con la sua luce rischiara le notti e che con il mutare continuo ma periodico della sua forma consente la misurazione e il conteggio di lunghi periodi di tempo.

La regolarità dei cicli degli astri: il sorgere e tramontare del Sole, per esempio, o l'evolversi delle fasi lunari, così come il movimento regolare e preciso della sfera celeste con tutte le sue splendenti stelle ha sempre affascinato l'uomo tanto da fargli percepire questi avvenimenti come l'espressione diretta della perfezione divina. Ciò è tanto vero che, in passato molti templi venivano costruiti con criteri legati al movimento degli astri. E' proprio in questa capacità di percepire che possiamo trovare il legame primordiale tra noi e Dio. Per costruire questa interfaccia faremo così riferimento a ciò che è immediatamente percepibile nell'universo e che ha affascinato per millenni la civiltà umana: la volta celeste e la sua perfetta meccanica.

Siamo convinti che il viaggio all'interno di questo mondo ci permetterà di scoprire i caratteri e le potenzialità del codice di comunicazione tra Dio e l'uomo.

L’interesse degli studiosi di Galilei si colloca, grazie a Milton “su un orizzonte ermeneuticamente insaziabile” sia per l’importanza del ruolo dello scienziato “nella storia della scienza e della filosofia, dell’esegesi biblica e della chiesa nell’età moderna sia nella storia della letteratura e persino del cinema” come sostengono Spreafico- Barigazzi nel libro Scienza, coscienza e storia del caso Galilei (2007) .

La storia interiore travagliata a causa delle vicende con la chiesa hanno segnato l’uomo e lo scienziato. La “Compagnia di Galileo” ha lottato contro gli oppositori noti come “Domenicani o Francescani” e si è affermata come nuova compagnia dei cultori di filosofia naturale da cui nasce la scienza moderna non più controllata dalle “vecchie compagnie” appartenenti alla Chiesa e alle Università.

La subordinazione della filosofia e della teologia alle autorità della Chiesa fu una delle cause della separazione della via della Chiesa dalla via della Scienza.

Galilei spesso è stato accostato a Pascal più che a Cartesio perché considerato uomo di fede e su questo paragone scriverò ancora.

Concludo con altri versi tratti dal Paradise lost di John Milton:
“Pari all’orbe lunar, quando dal poggio
Di Fiesole o in Val d’Arno il sapiente
Tosco lo guarda sulla sera armato
D’astronomiche lenti; e nuove terre
Nuovi fiumi e montagne il maculato
Globo gli svela.”

“Cielo terrestre, accerchiato da altri
Cieli, che danzano e risplendono, e reggono
al tuo servizio i luminari accesi, soltanto
per te, luce su luce, o così almeno sembra,
concentrando in te quei raggi preziosi
di sacra influenza.”
John Milton, Paradise lost IX

Raffaella Scelzi

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