mercoledì 29 aprile 2009

Vita di Galileo Galilei












Indice:
Formazione: il mondo fiorentino
La vita
La famiglia
L'uomo Galileo


FORMAZIONE: IL MONDO FIORENTINO
Benché nato a Pisa, Galileo fu fin dall’infanzia ampiamente influenzato dall’atmosfera culturale di Firenze. L’origine della famiglia e la sede della prima educazione giocarono un ruolo non indifferente sulla formazione della personalità di Galileo, della sua proverbiale curiosità.
Firenze, Duomo
A tenere banco, nelle grandi università italiane era ancora la cultura erudita e tradizionale cinquecentesca , che però aveva perso ogni aspetto costruttivo già nel secolo precedente quando le vivaci polemiche culturali che avevano reso grandi i centri universitari, si erano spente cedendo il passo ad un “dottrinarismo” enciclopedico e stagnante.
A tale morte culturale si opponevano con forza i movimenti umanistici, che avevano sede naturale nei nuovi centri politici, dove la cultura era scossa dall’esigenza di concretezza della ricerca tecnico-scientifica: ad un nuovo sapere così eclettico, vivace, spregiudicato cominciava ad andare stretto il modello collaudato della lezione frontale universitaria, al quale preferiva un più prolifico confronto diretto, una forma costruttiva di scambio che avveniva attraverso discussioni culturali o fitte corrispondenze. L’ambiente del vero sapere era divenuto quello delle corti signorili, dei palazzi, delle piazze, almeno fino all’istituzione stabile di accademie vere e proprie. Tra i progetti portati avanti da queste ultime spicca in maniera particolare la difesa e la tutela della lingua volgare e delle correnti che la adoperavano come mezzo d’espressione, al fine di arrivare (in chiara polemica anti-medievale) ad una massa di discenti il più possibile socialmente e numericamente estesa e di evitare la creazione di un’elite di sapienti. Ovviamente l’impiego di idiomi non-universali ma popolari comportava, di fianco ad una maggiore estensione del sapere, anche un carattere più locale di quest ultimo che in ogni centro assunse uno specifico indirizzo. Se a Napoli gli intellettuali si concentrarono specialmente sulla speculazione filosofica (in accezione anti-tradizionale e quindi anti-aristotelica, più vicina alle teorie platoniche e alla ricerca scientifica), con la liberazione dal dogmatismo e dall’erudizione di stampo ecclesiastico Roma riscopriva il piacere della curiosità nei confronti delle realtà storiche e delle problematiche artistiche e letterarie.
Firenze, Palazzo della signoria
Anche i nuovi ordini ecclesiastici, come quello dei gesuiti, si trovarono in una certa misura coinvolti in questo processo di riscoperta del sapere extra- dogmatico, sebbene il rigido controllo prudenziale da parte delle più alte autorità clericali fosse ancora un ostacolo effettivo. Venezia, dal canto suo, fu facilitata dalle liete condizioni di vita e dalla florida posizione geografica, che la rendeva uno dei porti di scambio imprescindibili per le attività commerciali e sede di una vita sfarzosa, di attrattiva europea. Si differenzia da tali realtà il tono della cultura fiorentina: presso la corte de’ Medici si accasarono i nuovi ceti sociali che portarono alla sublimazione delle energie sorte durante il periodo umanista. Sotto Cosimo De’ Medici tale processo prende il nome specifico di neoplatonismo con lo scopo di conferire una dimensione universale e idealistica alla ricerca artistico-scientifica.sviluppatasi nell’ultimo periodo. Seguendo la linea tracciata dal suo predecessore, Lorenzo aggiunse a tale idealismo un vivace e fantasioso realismo, “una giocondità di compartecipazione popolaresca a queste, un senso vivo - contro l’ideale del saggio – di una collettività spiritualmente comunicante nella vivacità di tutte le sue forme.”(A. Banfi). Tale freschezza spirituale ed idealistica si ritrovò tutto d’un tratto di fronte alla minaccia dell’ascetismo di Savonarola, dimostrandosi però così forte da saper sopravvivere alla restaurazione e rivivere nella repubblica, sotto la quale presero forma la concezione politica di Machiavelli, la novellistica popolare, la poesia satirica. Forme d’arte e d’espressione tanto diverse tra loro quanto poliedrica era la curiosità che dominava la Firenze culturale e letteraria e che permetteva al ceto intellettuale di spaziare in ogni campo di studio, grazie ad una grande abilità tecnica e al sopraccitato senso di collettività. L’abilità di Cosimo I consistette in tal senso, nell’aver saputo sorreggere questa particolare attitudine, senza sopprimerla o mortificarla, e indirizzarla verso il proprio interesse e quello del suo principato.
Insomma , smessa la propria funzione politica, il ceto borghese si apprestava ad assumere la non meno importante funzione social-culturale che il popolo fiorentino, così curioso, vivace e raffinato, avrebbe accettato meglio di qualsiasi altro: non furono pochi gli autori e gli artisti dell’epoca ad essere colpiti intensamente da quel particolare intrecciarsi di gente, situazioni, discorsi,realtà economiche e sociali nelle piazze fiorentine, all’imbrunire, quando le botteghe si chiudevano, i lavori finivano e la città intera si trasformava in un enorme scambio di idee, toni e significati: attività e partecipazione intellettuali che prescindevano dai ceti sociali e che, pur divagando ovunque, avevano la loro ubicazione prima nell’Accademia Fiorentina, inizialmente un pugno di giovani interessati alla letteratura e all’arte, poi uno dei mezzi maggiormente sfruttati da Cosimo per portare a compimento il proprio progetto di diffusione culturale: ed in questa spariscono e si dissolvono le specializzazioni, a favore di una curiosità estesa e generale, un sapere sempre in crescita che vive proprio da questa sua generalità, ovvero dalla varietà di esperienze, dal loro contrasto e dalla diversità di chi le sostiene.In questa declina ogni impostazione tradizionale stabilita a priori, l’obsoleto uso del latino decade prima solo nella letteratura e in seguito anche nel mondo scientifico dove la concretezza della sperimentazione tecnica esigeva l’uso di una lingua “viva” e realmente in corso, quale, appunto, il volgare. Nel 1563, un’altra accademia, quella del Disegno, sarebbe riuscita a realizzare ciò che la scuola precedente aveva solo teorizzato, impartendo nozioni fondamentali a quella generazione di artisti e intellettuali che poi avrebbero esteso il verbo negli anni a venire.
In tale ambiente si forgiò la personalità di Galileo, eterno curioso, inguaribile scettico prima che come scienziato, nella vita di ogni giorno.


LA VITA
Nasce, il 15 febbrario 1564, a Pisa da una nobile famiglia fiorentina, ormai avviata a decadenza economica. Il padre Vincenzo era un rinomato musicista e teorico musicale. A Firenze, dove la famiglia si trasferisce nel 1574, Galileo riceve una raffinata educazione di stampo prevalentemente artistico e letterario.
Pisa – immagine da
In seguito lo stesso padre, intenzionato a riportare le finanze della famiglia ai fasti di un tempo, tenta di avviarlo allo studio della medicina che avrebbe garantito al figlio un lavoro decisamente più remunerativo. Così nel 1581 Galileo si iscrisse alla facoltà di medicina di Pisa, dove seguì alcuni corsi tenuti da filosofi che si rifacevano alle teorie aristoteliche; nello stesso periodo lesse scritti di Platone ed Aristotele, e soprattutto si dedicò approfonditamente allo studio della matematica.
In quegli anni egli compì la sua prima scoperta: la legge dell'isocronismo del moto pendolare, raggiunta, secondo quello che sarà il tipico processo galileano, tramite l’attenta osservazione di un fenomeno: l’oscillazione di una lampada all’interno del duomo di Pisa.
Nel 1585 lasciò Pisa senza tuttavia riuscire a conseguire alcun titolo accademico, e ritornò a Firenze. Qui, concentrando la propria attenzione soprattutto sullo studio della geometria, in particolar modo quella archimedea, giunse contemporaneamente sia alle fondamentali ricerche sul baricentro dei solidi,dettagliamene enunciate nel Theoremata circa centrum gravitatis solidorum (1585), sia all'invenzione della bilancetta idrostatica, le cui fasi di lavorazione sono descritte nel trattatello in volgare La bilancetta (1586).
Frattanto, come testimoniano i suoi primi scritti letterari, ovvero le Due lezioni all'Accademia fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell'«Inferno » dantesco, le Postille all'Ariosto, le Considerazioni al Tasso, permane vivo come un tempo in lui quella passione per le lettere classiche, che non lo abbandonerà per il resto della sua vita.

Per merito del determinante appoggio ricevuto dall'astronomo e matematico Guido Dal Monte, ottenne nel 1589 la cattedra di matematica nello Studio di Pisa dove si trasferì nuovamente. Mosso da una cronica insoddisfazione nei riguardi delle conclusioni della scienza aristotelica, intraprese, «con grande scontento di tutti i filosofi» avversi alle novità, le ricerche sul moto ed iniziò a redigere il trattato De motu, rimasto per lungo tempo inedito. Intanto, successivamente alla perdita del padre, che gli lasciò sulle spalle il peso della responsabilità della madre, delle due sorelle e del fratello, la sua situazione economica si fece terribilmente difficile. A questo punto, alla ricerca di più sicure e favorevoli condizioni economiche e lavorative, nel 1592 riuscì a farsi assegnare la cattedra di matematica allo Studio di Padova. Nella città Veneta egli si trasferì e qui rimase per circa diciotto anni, da lui definiti come “li diciotto miliori anni della mia vita”. In questo nuovo ambiente fu in grado di stringere rapporti con alcuni fra gli uomini di cultura più in vista del suo tempo (fra i quali l’illustre Paolo Sarpi), e intrattenne relazioni epistolari con i più accreditati scienziati e studiosi europei quali Keplero, Gassendi, Welser. Gli interessi a cui Galileo si dedicò più assiduamente durante questo periodo padovano furono ancora una volta i più disparati come trapela chiaramente dai titoli delle sue opere: il Trattato di fortificazione, la Breve istruzione dell'architettura militare e Le Mecaniche, il Trattato della sfera ovvero cosmografia, e Le operazioni del compasso geometrico e militare. Frattanto, dalla convivenza con la veneziana Marina Gamba ha tre figli, due femmine e un maschio.
Dopo aver perfezionato l’invenzione del cannocchiale, arrivò per il fisico Toscano il momento della verifica definitiva che provava, una volta per tutte, l’efficacia del modello Copernicano della quale Galileo era convinto già da tempo. Proprio grazie al rivisitato cannocchiale infatti riuscì, osservando alcuni fenomeni celesti, ad arrivare ad una serie di conclusioni riguardo il carattere scosceso della superficie lunare, la scoperta di astri mai rilevati e dei quattro satelliti di Giove, successivamente battezzati Astri Medicei, in onore del granduca di Toscana, Cosimo II de' Medici.
Cosimo II de' Medici
Nel 1610 con la presentazione ufficiale di tali scoperte nel Sidereus Nuncius alla comunità scientifica internazionale Galilei arrivò ad un livello di fama tale da ricevere le nomine di primario matematico e filosofo granducale, con ottima retribuzione e per giunta senza obbligo di presenza alla cattedra. Il 1610 si rivelerà per lui anno ancor più proficuo per le scoperte sulle macchie solari, gli anelli di Saturno e il movimento a fasi di Venere. Il grande successo delle sue ricerche lo convinse a staccarsi dall’ ambiente accademico che ormai gli andava stretto e a tornare a Firenze per potersi dedicare anima e corpo all’osservazione. Un anno dopo incoraggiato dall’interesse mostrato dai nomi illustri della matematica e dall’astronomia del tempo, presentò i risultati della sua ricerca a Roma, dove, nonostante l’accesa ostilità mostrata dagli scienziati più tradizionalisti, ottiene l'approvazione distratta dai Gesuiti del Collegio Romano, ignari riguardo al fatto che il sistema Galileiano comprendesse implicitamente l’ammissione del modello planetario di Copernico.
Incoraggiato dall’ennesimo riconoscimento Galileo continuò la polemica contro la concezione aristotelica e tradizionale della scienza dapprima con la pubblicazione del Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono poi, nel 1613, accendendo un dibattito diretto con un gesuita nelle missive a Welser successivamente pubblicate come l'Istoria e dimostrazione intorno alle macchie solari e loro accidenti.
Cardinal Bellarmino
Come se non bastasse, prima ancora di scrivere le teorie che accreditavano il sistema copernicano, si arrogò il diritto, nelle quattro Lettere copernicane indirizzate a diversi destinatari, di rivendicare l’indipendenza e l’autonomia della scienza e della ragione rispetto alla religione. Fu la goccia che fece traboccare il vaso: nel 1616, il cardinal Bellarmino caldeggiava Galileo attraverso un decreto all’astensione dalla professione e dall’insegnamento “di modelli o teorie che siano incompatibili con quanto affermato dalle Sacre Scritture”.
Stupito, amareggiato ma lungi dal desistere nella sua opera di provocazione buttò ancora benzina sul fuoco con la pubblicazione de Il Saggiatore (1623), peraltro dedicato al nuovo papa Urbano VIII, suo amico di vecchia data, dove commenta il trattato Libra astronomica ac philosophica che il gesuita Orazio Grassi aveva scritto anni prima in occasione della comparsa di tre comete. Il Saggiatore fu il suo capolavoro polemico, e il suo successo fece sperare a Galileo una maggiore apertura da parte del Clero verso la scienza. Nel 1624 scrisse il celeberrimo Dialogo sui Massimi Sistemi, protagonista di una stesura lunghissima e travagliata a causa delle diverse modifiche attuate a posteriori per ottenere il permesso di stampa. Solo nel febbraio del 1632, dopo 8 anni, riuscì ad essere pubblicato quello che è considerato all’unanimità “il capolavoro della letteratura scientifica di ogni tempo”. Tuttavia sarebbe stato utopistico da parte dell’autore, già in condizioni precarie, pensare che dei contenuti così rivoluzionari come quelli del Dialogo lasciassero indifferente l’Inquisizione, la cui reazione non tardò invece a palesarsi: sequestrato il libro a Galileo fu ordinato di recarsi immediatamente a Roma poichè «veementemente sospetto d'eresia». Qui sarà processato per cinque mesi e condannato per aver disobbedito all'ingiunzione del 1616. Inoltre verrà emessa una sentenza a proibire il libro, mentre Galileo sarà abiurato e condannato al carcere formale. Tuttavia la sua sottomissione e il suo esplicito pentimento (uniti alla fama che ormai godeva a livello europeo),fecero sì che lo scienziato non venisse mai incarcerato ma soltanto relegato agli arresti domiciliari dapprima a Siena presso l'arcivescovo Ascanio Piccolomini, e poi nella villa di Arcetri, presso il convento in cui abitavano le figlie.
Anche in età molto avanzata continuò ad essere un punto di riferimento concreto per l’ambiente scientifico di tutta Europa; nonostante i gravissimi problemi alla vista che lo afflissero negli ultimi anni della vita riprese a scrivere, pur sotto l'occhio vigile dell'Inquisizione. Nel trattato Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica ed i movimenti locali (1638) pose le fondamenta per la nostra dinamica attuale. Inoltre, al fianco del fedele allievo e futuro collaboratore del figlio, Vincenzo Viviani, intraprese la stesura della Lettera sul candore della luna, la sua ultima opera.
Morì ad Arcetri, in quella che era stata la sede del suo esilio, l'8 gennaio del 1642 ma solo nel 1736 i suoi resti verranno seppelliti nella basilica di Santa Croce a Firenze.


LA FAMIGLIA
GLI ANTENATI
La famiglia Galilei risultò essere stata una delle più numerose della città di Firenze. Le origini ci portano ad un tale Tommaso di Bonajuto che fece parte del governo democratico di Firenze, succeduto nel 1343 al Duca d'Atene. Circa un secolo più tardi un altro membro della famiglia, "magister Galilaeus de Gaalilaeis", era stato medico illustre e gonfaloniere di giustizia. Un fratello del "magister” fu antenato di Vincenzio. La famiglia conobbe però un brusco decadimento dal punto di vista finanziario nel '500: furono proprio questi problemi di carattere economico a costringere Vincenzio a dedicarsi, oltre alla musica, anche al commercio.

I GENITORI
Vincenzio Galilei, padre di Galileo, nacque a Firenze nel 1520, dove divenne un affermato insegnante di musica e un abile liutaio, dopo essere stato anche mercante di stoffe.
Frontespizio dell’opera di Vincenzio Galilei, uno studio dedicato alla musica
Fu, per un certo periodo, studente di musica a Venezia, dove apprese dal suo maestro Gioseffo Zarlini la teoria musicale e si battè per una maggiore connessione tra teoria e pratica musicale.. Oggi raramente vengono eseguite le sue opere, ma a quel tempo Vincenzio si distinse per le sue originali composizioni e le innovazioni tecniche apportate nel settore. Proprio dal padre Galileo ereditò quel carattere combattivo che lo porterà a fare nuove scoperte e a portare innovazioni nella Fiolosofia Naturale comprovandole con esperimenti. In età avanzata Vincenzio pubblicò una serie di libri di spartiti per liuto e di teoria musicale. Se in passato la teoria musicale consisteva semplicemente in una discussione matematica riguardo all’armonia, Vincenzio Galilei contribuì a cambiare totalmente la prospettiva contemporanea sull’argomento scoprendo accordature del tutto innovative.
Nel 1563 si sposò con Giulia Ammannati (1538-1620) di Pescia e andò a vivere vicino a Pisa, in una zona fuori dalla città. Proprio in quel luogo nacque il loro primo figlio, Galileo. Quando la famiglia rientrò a Firenze nel 1572, il giovane Galileo rimase a Pisa con un parente della madre, Muzio Tebaldi un uomo di affari ed agente doganale in quella città.
Poche sono le notizie che ci sono giunte sul conto della madre e quelle poche non sono per nulla lusinghiere. Sembra che il suo carattere fosse intollerante e prepotente, motivo per cui Galileo non proverà rimpianto per gli anni dell’infanzia. Addirittura Galileo scrisse: "...di nostra madre intendo con non poca meraviglia che sia ancora così terribile, ma poiché è così discaduta ce ne saranno per poco, sì che finiranno le liti.".
Oltre il primogenito Galileo, Vincenzio ebbe altri due figli, Benedetto e Michelangelo, e quattro figlie, Anna, Livia, Lena e Virginia; di tre di loro si persero presto le tracce. Per quanto riguarda invece Virginia, Michelangelo e Livia, avranno un ruolo di primo piano nella vita di Galileo. Alla base dei continui affanni economici e del suo peregrinare ci saranno tra gli altri gli impegni che egli assumerà per provvedere alle esigenze finanziarie loro e della madre.

IL FRATELLO
Per quanto concerne il fratello Michelangelo nel 1627 rientrò in Italia e condusse la sua numerosa famiglia presso Galileo. Nel febbraio 1628 ritornò poi a Monaco. Decise allora di lasciare la moglie e i sette figli a carico di Galileo, salvo poi richiamarli improvvisamente accusando il fratello di non essersi sufficientemente preso cura di loro. Prima della sua morte, avvenuta nel gennaio 1613, arrivò però il chiarimento con Galileo, a cui nuovamente affidò moglie e figlie.

LA MOGLIE
Nel 1599 durante uno dei suoi frequenti viaggi a Venezia conobbe Marina Gamba che diverrà sua moglie, anche se in forma non ufficiale, e dalla quale avrà tre figli. Nessuno dei tre fu mai riconosciuto legalmente dal fisico: addirittura Virginia fu ufficialmente descritta come “figlia della fornicazione di Marina Gamba” mentre agli altri furono registrati all’anagrafe come “figli di padre incerto”. Tuttavia Galileo non si separò mai dalla moglie fino a quando non abbandonò Padova per ritornare a Firenze nel 1610; subito dopo la sua partenze Marina Gamba si sposò con Giovanni Bartoluzzi, in regolare matrimonio. Ma la separazione tra Galileo e la Gamba ebbe un carattere amichevole, come testimonia il fatto che alla partenza per Firenze Galileo le lasciò per qualche tempo il piccolo Vincenzo, e che intrattenne per vari anni col Bartoluzzi rapporti assai cordiali.
I FIGLI
Per quanto riguarda le due figlie, la prima, Virginia, decise di abbandonare Padova per seguire la nonna paterna che tornava a Firenze dopo una visita al figlio; la seconda, Livia, seguì invece il padre nel suo trasferimento.
Suor Maria Celeste, Virginia Galilei
In primo luogo il padre tentò di sistemarle a casa della nonna, ma questo tentativo fallì miseramente. Dunque non gli rimase altra possibilità che farle rinchiudere in convento. Verso la fine del 1613 entrarono così nel Monastero di San Matteo in Arcetri, ma, a causa della loro giovane età, non poterono prendere i voti fino al 1616 la prima e 1617 la seconda, al compimento del loro sedicesimo anno di vita. Esse assunsero il nome rispettivamente di suor Maria Celeste e suor Arcangela.
Per quanto riguarda la prima ella intrattenne una fitta corrispondenza con il padre dalla quale si hanno approfondite notizie sulle terribili condizioni di vita all’interno del convento. Proprio a causa di questa corrispondenza il rapporto fra Galileo e la figlia fu sempre molto affettuoso e resistette nel tempo. Per esempio nel 1628, in risposta ad una richiesta di aiuto da parte della figlia, Galileo accorse al convento a riparò personalmente la finestra e l’orologio oggetti della lamentela di Maria Celeste.
Nel 1631 dopo il processo egli acquistò la Villa “Il Gioiello” proprio accanto al convento di Arretri del quale poteva udire persino il suono delle campane: qui egli avrebbe dovuto scontare la pena impostagli dal tribunale ecclesiastico, ovvero la recitazione settimanale dei sette salmi penitenziali per tre anni di seguito.
Convento di Arcetri
A sobbarcarsi anche questo peso fu la stessa figlia, la quale però non riuscì a portare a termine l’impegno a causa dell’improvvisa morte avvenuta solo quattro mesi dopo. Nonostante ella fosse malata da tempo, infatti, riuscì a rimanere fino all’ultimo istante della sua vita un punto di riferimento imprescindibile per il padre.
La figlia minore Livia patì molto più profondamente la reclusione forzata nel convento: ella prese i voti e il nome di Suor Arcangela nel 1617 ma non riuscì mai ad adeguarsi alla difficile vita a cui era stata costretta e morì dopo pochi anni.
Vincenzo Galilei fu il figlio più vicino allo scienziato, il quale tentò senza successo di riconoscerlo dopo averlo inizialmente ripudiato. Egli collaborò anche con uno degli allievi di Galileo, Vincenzo Viviani.


L’UOMO GALILEO
La ben nota fine di Galileo Galilei, dopo il processo e la sua ammissione forzata, lo vede confinato presso la villa di Arcetri accanto al convento in cui aveva mandato le figlie qualche tempo prima: in particolare una di queste, Virginia, da sempre legata al padre da un particolare ed amorevole affetto che tuttavia non sembrava ricambiare in tutto e per tutto cotante effusioni.
Ottavio Leoni, Galileo Galilei florentino
Non è possibile trascurare infatti che lo scienziato non ha mai voluto riconoscere la paternità effettiva e legale delle sue due figlie femmine, in notevole contrasto con la predilezione smisurata manifestata nei confronti del primogenito Vincenzo. La stessa scelta di indirizzare le figlie alla clausura già in tenerissima età fu dovuta (oltre che ad un dato oggettivo come quello della precarietà economica) anche e soprattutto ad un egoismo congenito nella personalità stessa di Galileo, avvertito in modo particolare dalla figlia Livia che, contrariamente alla sorella, soffriva molto la negligenza del Galileo-padre, sempre sacrificato all’alter ego del Galileo-ricercatore, tanto da rompere del tutto i rapporti con il genitore.
Pochi fra studiosi e filologi dell’era recente hanno tralasciato questo intrigante aspetto della personalità dell’inventore pisano, individuato con particolare chiarezza da Gemonat che a tal proposito sentenziava: “Anche gli uomini più grandi portano spesso, nel proprio carattere, qualche lato indegno della loro grandezza”.
Tra i lati non esattamente “grandi” del suo carattere possiamo annoverare con una certa sicurezza la sua Vanità, quando smetteva di essere semplice ambizione o robusta fiducia in se stesso. Conformemente alla nuova figura dell’intellettuale e ai già citati dettami della scuola in età moderna egli teneva all’aspetto divulgativo delle proprie tesi: attraverso il potente mezzo dell’uso del volgare mise d’innanzi alle folle, alle piazze, dibattiti che fino a poco prima erano un’ esclusiva degli ambienti dotti. Alla base di tale intraprendenza la ferma volontà di scavalcare gli altri scienziati per avere presa direttamente sull’uomo comune, di rifiutare l’elite intellettuale in favore della numerosa collettività popolare e di un seguito più ampio.
Justus Sustermans, Ritratto di Galileo Galilei, 1636
Tutto ciò nell’ingenuità di chi sopravvaluta la massa a tal punto da non accorgersi che essa non possiede i requisiti per affrontare questo tipo di questioni, per altro ancora non portate ad una vera conclusione nemmeno nello stesso mondo intellettuale.
Qualcuno ha sostenuto un’interessante ipotesi secondo la quale Galileo sarebbe stato all’origine del diffondersi dell’ ”autoritarismo dello scienziato” in epoca positivista: il lavoro da lui inaugurato si identificherebbe lo stesso che alla fine dell’Ottocento avrebbe identificato lo scienziato con il vate della conoscenza assoluta. Nel progetto di Galileo pesava indubbiamente il desiderio di spingere la scienza e la ragione umana oltre ogni limite, al fine di far loro possedere un campo d’azione che fosse del tutto illimitato: nei propri sogni più inconfessabili egli si vedeva come un Custode del Sapere Assoluto, raggiunto attraverso lo sforzo e la contestazione ma arrivato finalmente ad un insindacabile punto di arrivo a cui lui stesso aveva apposto un sigillo. Un progetto piuttosto ambizioso che ironicamente avvicinava Galileo a chi di lì a poco lo avrebbe processato: l’inquisizione ecclesiastica, i sacerdoti della Fede che, in quanto Verità Assoluta, non solo non poteva essere scavalcata dal nuovo sistema valori della ragione ma non poteva nemmeno permetterne la coesistenza con il proprio. In epoca post moderna sarebbe stata la scienza ad arrogarsi questo ruolo di difensore del sapere totalitario, e in qualche modo si può dire che i successori di Galileo abbiano preso il posto di coloro che lo condannarono.
Se è vero, dunque, che la Chiesa ha avuto gran parte della colpa durante il processo, è altrettanto innegabile che Galilei non può essere considerato in toto quell’Eroe candido e incorruttibile del libero pensiero che una propaganda forse troppo parziale ci ha finora fatto credere. Sofia Vanni Rovighi, esponente della filosofia cattolica, a tal proposito scrive:
O. Leoni, Ritratto di Galileo
"Non è storicamente esatto vedere in Galileo un martire della verità, che alla verità sacrifica tutto, che non si contamina con nessun altro interesse, che non adopera nessun mezzo extra-teorico per farla trionfare, e dall'altra parte uomini che per la verità non hanno alcun interesse, che mirano al potere, che adoperano solo il potere per trionfare su Galileo. In realtà ci sono invece due parti, Galileo e i suoi avversari, l'una e l'altra convinte della verità della loro opinione, l'una e l'altra in buona fede ma che adoperano l'una e l'altra anche mezzi extra-teorici per far trionfare la tesi che ritengono vera”.
Sempre la Rovighi riporta la nostra attenzione alla questione del rapporto con la famiglia: secondo la filosofa non è equo attribuire alla Chiesa una condanna morale accusandola di “delitto contro lo spirito” per il processo a Galileo,e trascurare la monacazione propinata alle due figlie da parte dello scienziato che, per quanto giustificata dall’epoca storica e dalle particolari condizioni economiche, è pur sempre un’imposizione piuttosto contraddittoria per chi doveva fare della ricerca antidogmatica il proprio Credo, affidando le figlie a chi riteneva il nemico della ragione, “prima prerogativa dell’uomo”. Pur di liberarsi dell’incombenza di Livia e Virginia, per altro, Galilei dovette usare ogni comoda conoscenza all’interno dell’ambiente ecclesiastico per trasgredire il limite minimo di età previsto per i voti monacali, costringendo le fanciulle ad una clausura quantomeno precoce. Conclude la stessa studiosa "Occorrerà anche tenere presente questo: quando si condanna severamente l'autorità che giudicò Galileo ci si mette da un punto di vista morale (da un punto di vista intellettuale, infatti, è pacifico che ci fu errore nei giudici…). Se ci si pone, dunque, da un punto di vista morale, non bisogna confondere questo valore con il successo. Tanto vale il tormento dello spirito del grande Galileo quanto il tormento dello spirito sconvolto della povera suor Arcangela, monacata a forza dal padre a 12 anni. E se poi si osserva che - diamine! - Galileo è Galileo, mentre suor Arcangela non è che un'oscura donnetta, per concludere almeno implicitamente che tormentare l'uno è colpa ben più grave che tormentare l'altra, ci si lascia affascinare dal potere e dal successo. Ma da questo punto di vista non ha più senso parlare di spirito: né per stigmatizzare i delitti compiuti contro di esso né per esaltarne le vittorie".
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