AAAUUUGGGUUURRRIII!!!
oggi 25 agosto compi gli anni ben 400
lunga vita al cannocchiale!
buon compleanno !!!
martedì 25 agosto 2009
martedì 14 luglio 2009
galileo galilei 2009...e se ne parla ancora
ho piacevolmente assistito alla trasmissione che bruno vespa ha dedicato allo scenziato e vi riporto alcuni stralci...a voi i commenti
TITOLO DELLA TRASMISSIONE:"Odore di diavolo" a Porta a Porta
"L'odore del diavolo", così si intitola l'editoriale di domenica dell'ex direttore de l'Unità Furio Colombo. La stampa e la blogosfera parlano ancora dell'ultima spettacolare apparizione di Marco Pannella a Porta a Porta.
Per il Tg2 la sentenza contro Galileo «fu razionale e giusta»
Galileo Galilei
Il 14 gennaio scorso, a chiusura dello spazio dedicato al caso Ratzinger-La Sapienza, il Tg2 ha mandato in onda un servizio nel quale, «alla luce dei parametri filosofico-scientifici di oggi», il caso Galileo è stato definito «non più scandaloso». Paradossale, invece, è considerata la posizione dei docenti firmatari della lettera al Rettore Guarini, colpevoli di contestare al Papa «la citazione di un filosofo della scienza anarchico, Paul Feyerabend, che l'allora cardinal Ratzinger fece, in modo assolutamente neutro, all'interno di una sua conferenza: "La chiesa dell'epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta"».
dal blog WOWBLOG
giovedì, 19 febbraio 2009
Fuori tempo massimo
Chiediamo scusa per il ritardo, ma questa ce l'eravamo persa.
Pare che il 15 Febbraio scorso, nella basilica di santa maria degli angeli, sia stata celebrata una messa in onore dello scienziato Galileo Galilei.
Non occorre essere dei premi nobel per sapere che ciò è quanto di più anacronistico possa avvenire, ma l'evento è stato officiato addirittura da monsignor Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura.
Con la sua solita lungimiranza, il segretario di Stato Tarcisio Bertone ha mandato un messaggio ai presenti (da Zichichi in giù) in cui si spiega come Galileo "abbia saputo leggere e studiare la scienza attraverso gli occhi della fede".
Nessun commento, invece, su questi atti (via wikipedia)
Nel corso del processo, sotto minaccia di tortura [55], Galileo fu indotto a negare perfino di aver mai abbracciato la dottrina copernicana, nonostante l'evidenza di ciò che aveva scritto nel Dialogo. Galileo si dichiarò disposto ad aggiungere dei capitoli per confutare Copernico, ma l'Inquisizione non tenne in considerazione questa offerta.
Il 22 giugno 1633 Galileo fu riconosciuto colpevole di: "aver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e divine Scritture, ch'il Sole [...] non si muova da oriente ad occidente, e che la Terra si muova e non sia centro del mondo".
La pena inflitta a Galilei consistette in diverse disposizioni: la messa all’indice del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo; l’abiura della tesi copernicana; un periodo di prigionia della durata che sarebbe piaciuta al Sant’Uffizio; la recita dei sette salmi penitenziali una volta alla settimana per tre anni e che s'incaricò di recitare, con il consenso della Chiesa, sua figlia Maria Celeste, suora carmelitana.
postato da: wowblog alle ore 19/02/2009 13:28 link commenti commenti
Raffaella vi invita a pensare...
TITOLO DELLA TRASMISSIONE:"Odore di diavolo" a Porta a Porta
"L'odore del diavolo", così si intitola l'editoriale di domenica dell'ex direttore de l'Unità Furio Colombo. La stampa e la blogosfera parlano ancora dell'ultima spettacolare apparizione di Marco Pannella a Porta a Porta.
Per il Tg2 la sentenza contro Galileo «fu razionale e giusta»
Galileo Galilei
Il 14 gennaio scorso, a chiusura dello spazio dedicato al caso Ratzinger-La Sapienza, il Tg2 ha mandato in onda un servizio nel quale, «alla luce dei parametri filosofico-scientifici di oggi», il caso Galileo è stato definito «non più scandaloso». Paradossale, invece, è considerata la posizione dei docenti firmatari della lettera al Rettore Guarini, colpevoli di contestare al Papa «la citazione di un filosofo della scienza anarchico, Paul Feyerabend, che l'allora cardinal Ratzinger fece, in modo assolutamente neutro, all'interno di una sua conferenza: "La chiesa dell'epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta"».
dal blog WOWBLOG
giovedì, 19 febbraio 2009
Fuori tempo massimo
Chiediamo scusa per il ritardo, ma questa ce l'eravamo persa.
Pare che il 15 Febbraio scorso, nella basilica di santa maria degli angeli, sia stata celebrata una messa in onore dello scienziato Galileo Galilei.
Non occorre essere dei premi nobel per sapere che ciò è quanto di più anacronistico possa avvenire, ma l'evento è stato officiato addirittura da monsignor Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura.
Con la sua solita lungimiranza, il segretario di Stato Tarcisio Bertone ha mandato un messaggio ai presenti (da Zichichi in giù) in cui si spiega come Galileo "abbia saputo leggere e studiare la scienza attraverso gli occhi della fede".
Nessun commento, invece, su questi atti (via wikipedia)
Nel corso del processo, sotto minaccia di tortura [55], Galileo fu indotto a negare perfino di aver mai abbracciato la dottrina copernicana, nonostante l'evidenza di ciò che aveva scritto nel Dialogo. Galileo si dichiarò disposto ad aggiungere dei capitoli per confutare Copernico, ma l'Inquisizione non tenne in considerazione questa offerta.
Il 22 giugno 1633 Galileo fu riconosciuto colpevole di: "aver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e divine Scritture, ch'il Sole [...] non si muova da oriente ad occidente, e che la Terra si muova e non sia centro del mondo".
La pena inflitta a Galilei consistette in diverse disposizioni: la messa all’indice del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo; l’abiura della tesi copernicana; un periodo di prigionia della durata che sarebbe piaciuta al Sant’Uffizio; la recita dei sette salmi penitenziali una volta alla settimana per tre anni e che s'incaricò di recitare, con il consenso della Chiesa, sua figlia Maria Celeste, suora carmelitana.
postato da: wowblog alle ore 19/02/2009 13:28 link commenti commenti
Raffaella vi invita a pensare...
venerdì 15 maggio 2009
Care Colleghe saluto tutti i membri del blog e invio il mio primo commento.
Mi chiedo e vi chiedo perchè abbiamo scelto galileo e il suo cannocchiale per un blog a scuola. Galileo è stato uno dei primi scienziati a introdurre il metodo sperimentale nello studio dei fenomeni naturali:egli, sotto processo,propose agli inquisitori di guardare nel suo cannocchiale per verificare l'esattezza delle sue scoperte.
E oggi com'è inteso il metodo scientifico?
E a scuola in quale misura è mutuabile il rigore del metodo scientifico nello svolgimento del nostro lavoro quotidiano? E soprattutto in quale misura trasmettiamo ai ragazzi il fascino della scienza come superamento dei propri limiti e desideri di scoprire se stessi e l'ignoto?
Attendo risposte..
Mi chiedo e vi chiedo perchè abbiamo scelto galileo e il suo cannocchiale per un blog a scuola. Galileo è stato uno dei primi scienziati a introdurre il metodo sperimentale nello studio dei fenomeni naturali:egli, sotto processo,propose agli inquisitori di guardare nel suo cannocchiale per verificare l'esattezza delle sue scoperte.
E oggi com'è inteso il metodo scientifico?
E a scuola in quale misura è mutuabile il rigore del metodo scientifico nello svolgimento del nostro lavoro quotidiano? E soprattutto in quale misura trasmettiamo ai ragazzi il fascino della scienza come superamento dei propri limiti e desideri di scoprire se stessi e l'ignoto?
Attendo risposte..
lunedì 11 maggio 2009
Games Corner
Name: _________________________________
Astronomy Write the word on the line.
1.
acuormlno
________________________________
2.
scepoleet
________________________________
3.
gfimnya
________________________________
4.
agemi
________________________________
5.
dsiatnt
________________________________
6.
obtjce
________________________________
7.
igthl
________________________________
8.
sneess
________________________________
9.
voxcen
________________________________
10.
ancecov
________________________________
11.
esln
________________________________
12.
eey
________________________________
13.
pssirm
________________________________
14.
ese
________________________________
Astronomy Write the word on the line.
1.
acuormlno
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2.
scepoleet
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3.
gfimnya
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4.
agemi
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5.
dsiatnt
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obtjce
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igthl
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8.
sneess
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voxcen
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ancecov
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11.
esln
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eey
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pssirm
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14.
ese
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venerdì 8 maggio 2009
Il tesoro di Galileo
IL TESORO DI GALILEO
testi originali delle opere, tirati in poche decine di copie (in un caso solo otto), che hanno contribuito a cambiare la cultura dell' Occidente
Il cannocchiale e i manoscritti A Milano il tesoro di Galileo
Una collezione svela rarità e storie sconosciute dello scienziato L' esemplare appartenuto a Papa Urbano VIII della prima edizione del <>
Non riveleremo il nome del proprietario del tesoro perché non lo conosciamo, né a chi ha fatto recapitare alcuni dei ricordati testi e oggetti galileiani che abbiamo avuto l' opportunità di compulsare (con il dovuto rispetto, indossando appositi guanti). Vi possiamo però garantire che solo toccando simili reliquie si provano quelle emozioni che si cercano disperatamente nella vita, e che i più si procurano agitando il corpo sino a quando la testa ordina ai competenti organi di distribuire un po' di gioia alla carne. In tal caso, è stato sufficiente guardare e sfogliare. Di che si tratta? Cominciamo con gli strumenti. Ne ricordiamo due: un cannocchiale a tre allunghi che aperto misura più o meno 35 centimetri e un telescopio, di circa un metro, simile ai due conservati al Museo di Storia della Scienza di Firenze. Il cannocchiale è un oggetto che commuove: fatto in cartone e ricoperto di carta policroma ha la lente obbiettiva e quella oculare lavorate e disposte così come quelle degli esemplari costruiti da Galileo (furono poi donati a Ferdinando II de' Medici, oggi sono custoditi nel ricordato museo fiorentino). La datazione? Entrambi risalgono ai giorni del sommo scienziato. C' entrano con lui? Può averli conosciuti molto bene. Il telescopio ha fatto emettere gridolini di giubilo ai periti che lo hanno esaminato. Pare che uno di essi, dopo averlo maneggiato, abbia chiesto un cordiale per chetare le palpitazioni. Poi c' è un manoscritto. In verità ce n' era più d' uno; quello che fa perdere l' orientamento è un <>, un testo molto vicino cronologicamente a Galileo. Difficile dire cosa sia. Ancora inedito, potrebbe essere una parafrasi riassuntiva della celebre opera sui massimi sistemi o addirittura uno scritto che precede il definitivo. Dei passi rinviano ai <>; forse ne sono un' anticipazione. Andrebbe studiato da occhi esperti, con calma: tutto fa credere che le sorprese celate in queste pagine siano rilevanti. Altro? Ecco la firma autografa di Galileo, posta in un' antica cornice. E un ulteriore manoscritto (inedito) di Tommaso Caccini contro le teorie del nostro. Il nome forse non dirà molto, tuttavia fu proprio questo frate che a Firenze nel 1614, con una celebre omelia, denunciò Galileo al sant' Uffizio. Ma ora passiamo agli stampati. Abbiamo aperto la prima edizione del <> che fa parte di questa raccolta. L' opera, che vide la luce nel 1623, ebbe una tiratura di otto copie su carta forte per le persone di rilievo: ebbene, eravamo proprio davanti a una di esse. Di più: si trattava dell' esemplare di papa Urbano VIII, ovvero Maffeo Barberini, a cui peraltro fu dedicata. A pagina 120 si trova un diagramma incollato dall' autore su quello erroneamente stampato al contrario (che si vede nell' edizione comune). Il timbro che il pontefice faceva porre l' abbiamo osservato a lungo e poi ritrovato nella prima stampa del <>, l' opera-chiave di Galileo uscita nel 1632. Quella che siamo riusciti a sfogliare aveva qualcosa in più: l' antiporta con la celebre incisione di Stefano Della Bella raffigurante l' incontro tra Aristotele, Tolomeo e Copernico, mostrava un' inchiostrazione perfetta. Era una delle prime dieci copie della tiratura. Questo libro cambiò la cultura dell' Occidente, e non soltanto nell' ambito scientifico. Il suo autore diventò un modello, un metodo: un pensatore come Hobbes, pubblicando a Londra nel 1651 il <>, si proponeva di diventare <> della filosofia. Ma è difficile stilare un elenco dettagliato di questa collezione. Diremo che essa offre cose uniche sia per il bibliofilo che per lo studioso: entrambi possono comunque perdervi la testa. Una chicca uscita dalla penna del sommo pisano, che saprebbe causare attacchi cardiaci anche agli antiquari (la sua vendita consente di ritirarsi con una discreta rendita), è l' esemplare della rarissima prima edizione 1606 de <>: opera che, come scrive Galileo nella premessa <>, fece stampare lui stesso in 60 copie. E che dire della <> di Keplero? La copia che abbiamo visto, quasi inutile aggiungere in prima edizione, è appartenuta al principe Cesi ed è postillata da Galileo. E si prosegue con preziosità di Campanella, di Torricelli, di gesuiti tolemaici come il Clavius (che Galileo stimava), di allievi, di qualcuno che non digeriva il moto della terra. C' è infine un opuscolo apologetico di Vazquez de Acugna, uscito a Lima nel 1650: è ignoto alle bibliografie e alla saggistica galileiana. Oltre questo, se ne conosce un solo esemplare al mondo (è, appunto, nella Biblioteca di Lima). Il prezzo? Impossibile stabilirlo. Ma se con l' opera sul <> ci sono gli estremi per ritirarsi con una rendita, qui potete aggiungere una piacevole compagnia. E ora ritorniamo nella realtà. Quello che vi abbiamo descritto è tutto vero, anche se assomiglia a un miraggio d' agosto. Il sugo della storia? Ci sono cose meravigliose a questo mondo che transitano per Milano e in chissà quali altre città quando i più se ne vanno. Vederle è già un privilegio. L' importante è sfuggire ai collezionisti maniaci, perché potrebbe finire come in quei delitti misteriosi dell' estate, di cui le cronache rivelano subito il nome del morto ma non riusciranno mai a darvi quello dell' assassino, né il movente. Armando Torno
testi originali delle opere, tirati in poche decine di copie (in un caso solo otto), che hanno contribuito a cambiare la cultura dell' Occidente
Il cannocchiale e i manoscritti A Milano il tesoro di Galileo
Una collezione svela rarità e storie sconosciute dello scienziato L' esemplare appartenuto a Papa Urbano VIII della prima edizione del <
Non riveleremo il nome del proprietario del tesoro perché non lo conosciamo, né a chi ha fatto recapitare alcuni dei ricordati testi e oggetti galileiani che abbiamo avuto l' opportunità di compulsare (con il dovuto rispetto, indossando appositi guanti). Vi possiamo però garantire che solo toccando simili reliquie si provano quelle emozioni che si cercano disperatamente nella vita, e che i più si procurano agitando il corpo sino a quando la testa ordina ai competenti organi di distribuire un po' di gioia alla carne. In tal caso, è stato sufficiente guardare e sfogliare. Di che si tratta? Cominciamo con gli strumenti. Ne ricordiamo due: un cannocchiale a tre allunghi che aperto misura più o meno 35 centimetri e un telescopio, di circa un metro, simile ai due conservati al Museo di Storia della Scienza di Firenze. Il cannocchiale è un oggetto che commuove: fatto in cartone e ricoperto di carta policroma ha la lente obbiettiva e quella oculare lavorate e disposte così come quelle degli esemplari costruiti da Galileo (furono poi donati a Ferdinando II de' Medici, oggi sono custoditi nel ricordato museo fiorentino). La datazione? Entrambi risalgono ai giorni del sommo scienziato. C' entrano con lui? Può averli conosciuti molto bene. Il telescopio ha fatto emettere gridolini di giubilo ai periti che lo hanno esaminato. Pare che uno di essi, dopo averlo maneggiato, abbia chiesto un cordiale per chetare le palpitazioni. Poi c' è un manoscritto. In verità ce n' era più d' uno; quello che fa perdere l' orientamento è un <
La casa di Galileo
LA CASA DI GALILEO
La Casa di Galileo si trova a Firenze sulla Costa San Giorgio. In essa non abitò mai il grande astronomo salvo brevissimi soggiorni.
Questa casa fu acquistata da Galileo nel 1634 e il vecchio proprietario, Jacopo Zuccagni, non volle riconoscerne il possesso a Galileo fino alle deliberazioni del Magistrato Supremo. Essa fu costruita nel XIV secolo, ma ricostruita nei secoli successivi.
Oggi appare con una decorazione a pitture sulla facciata tra le quali un ritratto del grande scienziato.
A ricordo di una visita che il Granduca Ferdinando II avrebbe fatto a Galileo in questa casa, sulla facciata é stata messa una lapide in marmo con iscrizione, sormontata da un medaglione col ritratto affrescato di Galileo. In realtà, tale visita non risulta documentata; se realmente avvenne, fu presso la Villa Il Gioiello ad Arcetri,una dimora certo più adatta a ricevere il Granduca, e dove comunque Galileo visse agli arresti domiciliari fino alla morte, per decreto dell'Inquisizione.
Casa di Galileo
Sulla facciata posteriore della casa, si conserva una meridiana costruita dall'astronomo nel 1620
La Casa di Galileo si trova a Firenze sulla Costa San Giorgio. In essa non abitò mai il grande astronomo salvo brevissimi soggiorni.
Questa casa fu acquistata da Galileo nel 1634 e il vecchio proprietario, Jacopo Zuccagni, non volle riconoscerne il possesso a Galileo fino alle deliberazioni del Magistrato Supremo. Essa fu costruita nel XIV secolo, ma ricostruita nei secoli successivi.
Oggi appare con una decorazione a pitture sulla facciata tra le quali un ritratto del grande scienziato.
A ricordo di una visita che il Granduca Ferdinando II avrebbe fatto a Galileo in questa casa, sulla facciata é stata messa una lapide in marmo con iscrizione, sormontata da un medaglione col ritratto affrescato di Galileo. In realtà, tale visita non risulta documentata; se realmente avvenne, fu presso la Villa Il Gioiello ad Arcetri,una dimora certo più adatta a ricevere il Granduca, e dove comunque Galileo visse agli arresti domiciliari fino alla morte, per decreto dell'Inquisizione.
Casa di Galileo
Sulla facciata posteriore della casa, si conserva una meridiana costruita dall'astronomo nel 1620
mercoledì 29 aprile 2009
Vita di Galileo Galilei




Indice:
Formazione: il mondo fiorentino
La vita
La famiglia
L'uomo Galileo
FORMAZIONE: IL MONDO FIORENTINO
Benché nato a Pisa, Galileo fu fin dall’infanzia ampiamente influenzato dall’atmosfera culturale di Firenze. L’origine della famiglia e la sede della prima educazione giocarono un ruolo non indifferente sulla formazione della personalità di Galileo, della sua proverbiale curiosità.
Firenze, Duomo
A tenere banco, nelle grandi università italiane era ancora la cultura erudita e tradizionale cinquecentesca , che però aveva perso ogni aspetto costruttivo già nel secolo precedente quando le vivaci polemiche culturali che avevano reso grandi i centri universitari, si erano spente cedendo il passo ad un “dottrinarismo” enciclopedico e stagnante.
A tale morte culturale si opponevano con forza i movimenti umanistici, che avevano sede naturale nei nuovi centri politici, dove la cultura era scossa dall’esigenza di concretezza della ricerca tecnico-scientifica: ad un nuovo sapere così eclettico, vivace, spregiudicato cominciava ad andare stretto il modello collaudato della lezione frontale universitaria, al quale preferiva un più prolifico confronto diretto, una forma costruttiva di scambio che avveniva attraverso discussioni culturali o fitte corrispondenze. L’ambiente del vero sapere era divenuto quello delle corti signorili, dei palazzi, delle piazze, almeno fino all’istituzione stabile di accademie vere e proprie. Tra i progetti portati avanti da queste ultime spicca in maniera particolare la difesa e la tutela della lingua volgare e delle correnti che la adoperavano come mezzo d’espressione, al fine di arrivare (in chiara polemica anti-medievale) ad una massa di discenti il più possibile socialmente e numericamente estesa e di evitare la creazione di un’elite di sapienti. Ovviamente l’impiego di idiomi non-universali ma popolari comportava, di fianco ad una maggiore estensione del sapere, anche un carattere più locale di quest ultimo che in ogni centro assunse uno specifico indirizzo. Se a Napoli gli intellettuali si concentrarono specialmente sulla speculazione filosofica (in accezione anti-tradizionale e quindi anti-aristotelica, più vicina alle teorie platoniche e alla ricerca scientifica), con la liberazione dal dogmatismo e dall’erudizione di stampo ecclesiastico Roma riscopriva il piacere della curiosità nei confronti delle realtà storiche e delle problematiche artistiche e letterarie.
Firenze, Palazzo della signoria
Anche i nuovi ordini ecclesiastici, come quello dei gesuiti, si trovarono in una certa misura coinvolti in questo processo di riscoperta del sapere extra- dogmatico, sebbene il rigido controllo prudenziale da parte delle più alte autorità clericali fosse ancora un ostacolo effettivo. Venezia, dal canto suo, fu facilitata dalle liete condizioni di vita e dalla florida posizione geografica, che la rendeva uno dei porti di scambio imprescindibili per le attività commerciali e sede di una vita sfarzosa, di attrattiva europea. Si differenzia da tali realtà il tono della cultura fiorentina: presso la corte de’ Medici si accasarono i nuovi ceti sociali che portarono alla sublimazione delle energie sorte durante il periodo umanista. Sotto Cosimo De’ Medici tale processo prende il nome specifico di neoplatonismo con lo scopo di conferire una dimensione universale e idealistica alla ricerca artistico-scientifica.sviluppatasi nell’ultimo periodo. Seguendo la linea tracciata dal suo predecessore, Lorenzo aggiunse a tale idealismo un vivace e fantasioso realismo, “una giocondità di compartecipazione popolaresca a queste, un senso vivo - contro l’ideale del saggio – di una collettività spiritualmente comunicante nella vivacità di tutte le sue forme.”(A. Banfi). Tale freschezza spirituale ed idealistica si ritrovò tutto d’un tratto di fronte alla minaccia dell’ascetismo di Savonarola, dimostrandosi però così forte da saper sopravvivere alla restaurazione e rivivere nella repubblica, sotto la quale presero forma la concezione politica di Machiavelli, la novellistica popolare, la poesia satirica. Forme d’arte e d’espressione tanto diverse tra loro quanto poliedrica era la curiosità che dominava la Firenze culturale e letteraria e che permetteva al ceto intellettuale di spaziare in ogni campo di studio, grazie ad una grande abilità tecnica e al sopraccitato senso di collettività. L’abilità di Cosimo I consistette in tal senso, nell’aver saputo sorreggere questa particolare attitudine, senza sopprimerla o mortificarla, e indirizzarla verso il proprio interesse e quello del suo principato.
Insomma , smessa la propria funzione politica, il ceto borghese si apprestava ad assumere la non meno importante funzione social-culturale che il popolo fiorentino, così curioso, vivace e raffinato, avrebbe accettato meglio di qualsiasi altro: non furono pochi gli autori e gli artisti dell’epoca ad essere colpiti intensamente da quel particolare intrecciarsi di gente, situazioni, discorsi,realtà economiche e sociali nelle piazze fiorentine, all’imbrunire, quando le botteghe si chiudevano, i lavori finivano e la città intera si trasformava in un enorme scambio di idee, toni e significati: attività e partecipazione intellettuali che prescindevano dai ceti sociali e che, pur divagando ovunque, avevano la loro ubicazione prima nell’Accademia Fiorentina, inizialmente un pugno di giovani interessati alla letteratura e all’arte, poi uno dei mezzi maggiormente sfruttati da Cosimo per portare a compimento il proprio progetto di diffusione culturale: ed in questa spariscono e si dissolvono le specializzazioni, a favore di una curiosità estesa e generale, un sapere sempre in crescita che vive proprio da questa sua generalità, ovvero dalla varietà di esperienze, dal loro contrasto e dalla diversità di chi le sostiene.In questa declina ogni impostazione tradizionale stabilita a priori, l’obsoleto uso del latino decade prima solo nella letteratura e in seguito anche nel mondo scientifico dove la concretezza della sperimentazione tecnica esigeva l’uso di una lingua “viva” e realmente in corso, quale, appunto, il volgare. Nel 1563, un’altra accademia, quella del Disegno, sarebbe riuscita a realizzare ciò che la scuola precedente aveva solo teorizzato, impartendo nozioni fondamentali a quella generazione di artisti e intellettuali che poi avrebbero esteso il verbo negli anni a venire.
In tale ambiente si forgiò la personalità di Galileo, eterno curioso, inguaribile scettico prima che come scienziato, nella vita di ogni giorno.
LA VITA
Nasce, il 15 febbrario 1564, a Pisa da una nobile famiglia fiorentina, ormai avviata a decadenza economica. Il padre Vincenzo era un rinomato musicista e teorico musicale. A Firenze, dove la famiglia si trasferisce nel 1574, Galileo riceve una raffinata educazione di stampo prevalentemente artistico e letterario.
Pisa – immagine da
In seguito lo stesso padre, intenzionato a riportare le finanze della famiglia ai fasti di un tempo, tenta di avviarlo allo studio della medicina che avrebbe garantito al figlio un lavoro decisamente più remunerativo. Così nel 1581 Galileo si iscrisse alla facoltà di medicina di Pisa, dove seguì alcuni corsi tenuti da filosofi che si rifacevano alle teorie aristoteliche; nello stesso periodo lesse scritti di Platone ed Aristotele, e soprattutto si dedicò approfonditamente allo studio della matematica.
In quegli anni egli compì la sua prima scoperta: la legge dell'isocronismo del moto pendolare, raggiunta, secondo quello che sarà il tipico processo galileano, tramite l’attenta osservazione di un fenomeno: l’oscillazione di una lampada all’interno del duomo di Pisa.
Nel 1585 lasciò Pisa senza tuttavia riuscire a conseguire alcun titolo accademico, e ritornò a Firenze. Qui, concentrando la propria attenzione soprattutto sullo studio della geometria, in particolar modo quella archimedea, giunse contemporaneamente sia alle fondamentali ricerche sul baricentro dei solidi,dettagliamene enunciate nel Theoremata circa centrum gravitatis solidorum (1585), sia all'invenzione della bilancetta idrostatica, le cui fasi di lavorazione sono descritte nel trattatello in volgare La bilancetta (1586).
Frattanto, come testimoniano i suoi primi scritti letterari, ovvero le Due lezioni all'Accademia fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell'«Inferno » dantesco, le Postille all'Ariosto, le Considerazioni al Tasso, permane vivo come un tempo in lui quella passione per le lettere classiche, che non lo abbandonerà per il resto della sua vita.
Per merito del determinante appoggio ricevuto dall'astronomo e matematico Guido Dal Monte, ottenne nel 1589 la cattedra di matematica nello Studio di Pisa dove si trasferì nuovamente. Mosso da una cronica insoddisfazione nei riguardi delle conclusioni della scienza aristotelica, intraprese, «con grande scontento di tutti i filosofi» avversi alle novità, le ricerche sul moto ed iniziò a redigere il trattato De motu, rimasto per lungo tempo inedito. Intanto, successivamente alla perdita del padre, che gli lasciò sulle spalle il peso della responsabilità della madre, delle due sorelle e del fratello, la sua situazione economica si fece terribilmente difficile. A questo punto, alla ricerca di più sicure e favorevoli condizioni economiche e lavorative, nel 1592 riuscì a farsi assegnare la cattedra di matematica allo Studio di Padova. Nella città Veneta egli si trasferì e qui rimase per circa diciotto anni, da lui definiti come “li diciotto miliori anni della mia vita”. In questo nuovo ambiente fu in grado di stringere rapporti con alcuni fra gli uomini di cultura più in vista del suo tempo (fra i quali l’illustre Paolo Sarpi), e intrattenne relazioni epistolari con i più accreditati scienziati e studiosi europei quali Keplero, Gassendi, Welser. Gli interessi a cui Galileo si dedicò più assiduamente durante questo periodo padovano furono ancora una volta i più disparati come trapela chiaramente dai titoli delle sue opere: il Trattato di fortificazione, la Breve istruzione dell'architettura militare e Le Mecaniche, il Trattato della sfera ovvero cosmografia, e Le operazioni del compasso geometrico e militare. Frattanto, dalla convivenza con la veneziana Marina Gamba ha tre figli, due femmine e un maschio.
Dopo aver perfezionato l’invenzione del cannocchiale, arrivò per il fisico Toscano il momento della verifica definitiva che provava, una volta per tutte, l’efficacia del modello Copernicano della quale Galileo era convinto già da tempo. Proprio grazie al rivisitato cannocchiale infatti riuscì, osservando alcuni fenomeni celesti, ad arrivare ad una serie di conclusioni riguardo il carattere scosceso della superficie lunare, la scoperta di astri mai rilevati e dei quattro satelliti di Giove, successivamente battezzati Astri Medicei, in onore del granduca di Toscana, Cosimo II de' Medici.
Cosimo II de' Medici
Nel 1610 con la presentazione ufficiale di tali scoperte nel Sidereus Nuncius alla comunità scientifica internazionale Galilei arrivò ad un livello di fama tale da ricevere le nomine di primario matematico e filosofo granducale, con ottima retribuzione e per giunta senza obbligo di presenza alla cattedra. Il 1610 si rivelerà per lui anno ancor più proficuo per le scoperte sulle macchie solari, gli anelli di Saturno e il movimento a fasi di Venere. Il grande successo delle sue ricerche lo convinse a staccarsi dall’ ambiente accademico che ormai gli andava stretto e a tornare a Firenze per potersi dedicare anima e corpo all’osservazione. Un anno dopo incoraggiato dall’interesse mostrato dai nomi illustri della matematica e dall’astronomia del tempo, presentò i risultati della sua ricerca a Roma, dove, nonostante l’accesa ostilità mostrata dagli scienziati più tradizionalisti, ottiene l'approvazione distratta dai Gesuiti del Collegio Romano, ignari riguardo al fatto che il sistema Galileiano comprendesse implicitamente l’ammissione del modello planetario di Copernico.
Incoraggiato dall’ennesimo riconoscimento Galileo continuò la polemica contro la concezione aristotelica e tradizionale della scienza dapprima con la pubblicazione del Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono poi, nel 1613, accendendo un dibattito diretto con un gesuita nelle missive a Welser successivamente pubblicate come l'Istoria e dimostrazione intorno alle macchie solari e loro accidenti.
Cardinal Bellarmino
Come se non bastasse, prima ancora di scrivere le teorie che accreditavano il sistema copernicano, si arrogò il diritto, nelle quattro Lettere copernicane indirizzate a diversi destinatari, di rivendicare l’indipendenza e l’autonomia della scienza e della ragione rispetto alla religione. Fu la goccia che fece traboccare il vaso: nel 1616, il cardinal Bellarmino caldeggiava Galileo attraverso un decreto all’astensione dalla professione e dall’insegnamento “di modelli o teorie che siano incompatibili con quanto affermato dalle Sacre Scritture”.
Stupito, amareggiato ma lungi dal desistere nella sua opera di provocazione buttò ancora benzina sul fuoco con la pubblicazione de Il Saggiatore (1623), peraltro dedicato al nuovo papa Urbano VIII, suo amico di vecchia data, dove commenta il trattato Libra astronomica ac philosophica che il gesuita Orazio Grassi aveva scritto anni prima in occasione della comparsa di tre comete. Il Saggiatore fu il suo capolavoro polemico, e il suo successo fece sperare a Galileo una maggiore apertura da parte del Clero verso la scienza. Nel 1624 scrisse il celeberrimo Dialogo sui Massimi Sistemi, protagonista di una stesura lunghissima e travagliata a causa delle diverse modifiche attuate a posteriori per ottenere il permesso di stampa. Solo nel febbraio del 1632, dopo 8 anni, riuscì ad essere pubblicato quello che è considerato all’unanimità “il capolavoro della letteratura scientifica di ogni tempo”. Tuttavia sarebbe stato utopistico da parte dell’autore, già in condizioni precarie, pensare che dei contenuti così rivoluzionari come quelli del Dialogo lasciassero indifferente l’Inquisizione, la cui reazione non tardò invece a palesarsi: sequestrato il libro a Galileo fu ordinato di recarsi immediatamente a Roma poichè «veementemente sospetto d'eresia». Qui sarà processato per cinque mesi e condannato per aver disobbedito all'ingiunzione del 1616. Inoltre verrà emessa una sentenza a proibire il libro, mentre Galileo sarà abiurato e condannato al carcere formale. Tuttavia la sua sottomissione e il suo esplicito pentimento (uniti alla fama che ormai godeva a livello europeo),fecero sì che lo scienziato non venisse mai incarcerato ma soltanto relegato agli arresti domiciliari dapprima a Siena presso l'arcivescovo Ascanio Piccolomini, e poi nella villa di Arcetri, presso il convento in cui abitavano le figlie.
Anche in età molto avanzata continuò ad essere un punto di riferimento concreto per l’ambiente scientifico di tutta Europa; nonostante i gravissimi problemi alla vista che lo afflissero negli ultimi anni della vita riprese a scrivere, pur sotto l'occhio vigile dell'Inquisizione. Nel trattato Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica ed i movimenti locali (1638) pose le fondamenta per la nostra dinamica attuale. Inoltre, al fianco del fedele allievo e futuro collaboratore del figlio, Vincenzo Viviani, intraprese la stesura della Lettera sul candore della luna, la sua ultima opera.
Morì ad Arcetri, in quella che era stata la sede del suo esilio, l'8 gennaio del 1642 ma solo nel 1736 i suoi resti verranno seppelliti nella basilica di Santa Croce a Firenze.
LA FAMIGLIA
GLI ANTENATI
La famiglia Galilei risultò essere stata una delle più numerose della città di Firenze. Le origini ci portano ad un tale Tommaso di Bonajuto che fece parte del governo democratico di Firenze, succeduto nel 1343 al Duca d'Atene. Circa un secolo più tardi un altro membro della famiglia, "magister Galilaeus de Gaalilaeis", era stato medico illustre e gonfaloniere di giustizia. Un fratello del "magister” fu antenato di Vincenzio. La famiglia conobbe però un brusco decadimento dal punto di vista finanziario nel '500: furono proprio questi problemi di carattere economico a costringere Vincenzio a dedicarsi, oltre alla musica, anche al commercio.
I GENITORI
Vincenzio Galilei, padre di Galileo, nacque a Firenze nel 1520, dove divenne un affermato insegnante di musica e un abile liutaio, dopo essere stato anche mercante di stoffe.
Frontespizio dell’opera di Vincenzio Galilei, uno studio dedicato alla musica
Fu, per un certo periodo, studente di musica a Venezia, dove apprese dal suo maestro Gioseffo Zarlini la teoria musicale e si battè per una maggiore connessione tra teoria e pratica musicale.. Oggi raramente vengono eseguite le sue opere, ma a quel tempo Vincenzio si distinse per le sue originali composizioni e le innovazioni tecniche apportate nel settore. Proprio dal padre Galileo ereditò quel carattere combattivo che lo porterà a fare nuove scoperte e a portare innovazioni nella Fiolosofia Naturale comprovandole con esperimenti. In età avanzata Vincenzio pubblicò una serie di libri di spartiti per liuto e di teoria musicale. Se in passato la teoria musicale consisteva semplicemente in una discussione matematica riguardo all’armonia, Vincenzio Galilei contribuì a cambiare totalmente la prospettiva contemporanea sull’argomento scoprendo accordature del tutto innovative.
Nel 1563 si sposò con Giulia Ammannati (1538-1620) di Pescia e andò a vivere vicino a Pisa, in una zona fuori dalla città. Proprio in quel luogo nacque il loro primo figlio, Galileo. Quando la famiglia rientrò a Firenze nel 1572, il giovane Galileo rimase a Pisa con un parente della madre, Muzio Tebaldi un uomo di affari ed agente doganale in quella città.
Poche sono le notizie che ci sono giunte sul conto della madre e quelle poche non sono per nulla lusinghiere. Sembra che il suo carattere fosse intollerante e prepotente, motivo per cui Galileo non proverà rimpianto per gli anni dell’infanzia. Addirittura Galileo scrisse: "...di nostra madre intendo con non poca meraviglia che sia ancora così terribile, ma poiché è così discaduta ce ne saranno per poco, sì che finiranno le liti.".
Oltre il primogenito Galileo, Vincenzio ebbe altri due figli, Benedetto e Michelangelo, e quattro figlie, Anna, Livia, Lena e Virginia; di tre di loro si persero presto le tracce. Per quanto riguarda invece Virginia, Michelangelo e Livia, avranno un ruolo di primo piano nella vita di Galileo. Alla base dei continui affanni economici e del suo peregrinare ci saranno tra gli altri gli impegni che egli assumerà per provvedere alle esigenze finanziarie loro e della madre.
IL FRATELLO
Per quanto concerne il fratello Michelangelo nel 1627 rientrò in Italia e condusse la sua numerosa famiglia presso Galileo. Nel febbraio 1628 ritornò poi a Monaco. Decise allora di lasciare la moglie e i sette figli a carico di Galileo, salvo poi richiamarli improvvisamente accusando il fratello di non essersi sufficientemente preso cura di loro. Prima della sua morte, avvenuta nel gennaio 1613, arrivò però il chiarimento con Galileo, a cui nuovamente affidò moglie e figlie.
LA MOGLIE
Nel 1599 durante uno dei suoi frequenti viaggi a Venezia conobbe Marina Gamba che diverrà sua moglie, anche se in forma non ufficiale, e dalla quale avrà tre figli. Nessuno dei tre fu mai riconosciuto legalmente dal fisico: addirittura Virginia fu ufficialmente descritta come “figlia della fornicazione di Marina Gamba” mentre agli altri furono registrati all’anagrafe come “figli di padre incerto”. Tuttavia Galileo non si separò mai dalla moglie fino a quando non abbandonò Padova per ritornare a Firenze nel 1610; subito dopo la sua partenze Marina Gamba si sposò con Giovanni Bartoluzzi, in regolare matrimonio. Ma la separazione tra Galileo e la Gamba ebbe un carattere amichevole, come testimonia il fatto che alla partenza per Firenze Galileo le lasciò per qualche tempo il piccolo Vincenzo, e che intrattenne per vari anni col Bartoluzzi rapporti assai cordiali.
I FIGLI
Per quanto riguarda le due figlie, la prima, Virginia, decise di abbandonare Padova per seguire la nonna paterna che tornava a Firenze dopo una visita al figlio; la seconda, Livia, seguì invece il padre nel suo trasferimento.
Suor Maria Celeste, Virginia Galilei
In primo luogo il padre tentò di sistemarle a casa della nonna, ma questo tentativo fallì miseramente. Dunque non gli rimase altra possibilità che farle rinchiudere in convento. Verso la fine del 1613 entrarono così nel Monastero di San Matteo in Arcetri, ma, a causa della loro giovane età, non poterono prendere i voti fino al 1616 la prima e 1617 la seconda, al compimento del loro sedicesimo anno di vita. Esse assunsero il nome rispettivamente di suor Maria Celeste e suor Arcangela.
Per quanto riguarda la prima ella intrattenne una fitta corrispondenza con il padre dalla quale si hanno approfondite notizie sulle terribili condizioni di vita all’interno del convento. Proprio a causa di questa corrispondenza il rapporto fra Galileo e la figlia fu sempre molto affettuoso e resistette nel tempo. Per esempio nel 1628, in risposta ad una richiesta di aiuto da parte della figlia, Galileo accorse al convento a riparò personalmente la finestra e l’orologio oggetti della lamentela di Maria Celeste.
Nel 1631 dopo il processo egli acquistò la Villa “Il Gioiello” proprio accanto al convento di Arretri del quale poteva udire persino il suono delle campane: qui egli avrebbe dovuto scontare la pena impostagli dal tribunale ecclesiastico, ovvero la recitazione settimanale dei sette salmi penitenziali per tre anni di seguito.
Convento di Arcetri
A sobbarcarsi anche questo peso fu la stessa figlia, la quale però non riuscì a portare a termine l’impegno a causa dell’improvvisa morte avvenuta solo quattro mesi dopo. Nonostante ella fosse malata da tempo, infatti, riuscì a rimanere fino all’ultimo istante della sua vita un punto di riferimento imprescindibile per il padre.
La figlia minore Livia patì molto più profondamente la reclusione forzata nel convento: ella prese i voti e il nome di Suor Arcangela nel 1617 ma non riuscì mai ad adeguarsi alla difficile vita a cui era stata costretta e morì dopo pochi anni.
Vincenzo Galilei fu il figlio più vicino allo scienziato, il quale tentò senza successo di riconoscerlo dopo averlo inizialmente ripudiato. Egli collaborò anche con uno degli allievi di Galileo, Vincenzo Viviani.
L’UOMO GALILEO
La ben nota fine di Galileo Galilei, dopo il processo e la sua ammissione forzata, lo vede confinato presso la villa di Arcetri accanto al convento in cui aveva mandato le figlie qualche tempo prima: in particolare una di queste, Virginia, da sempre legata al padre da un particolare ed amorevole affetto che tuttavia non sembrava ricambiare in tutto e per tutto cotante effusioni.
Ottavio Leoni, Galileo Galilei florentino
Non è possibile trascurare infatti che lo scienziato non ha mai voluto riconoscere la paternità effettiva e legale delle sue due figlie femmine, in notevole contrasto con la predilezione smisurata manifestata nei confronti del primogenito Vincenzo. La stessa scelta di indirizzare le figlie alla clausura già in tenerissima età fu dovuta (oltre che ad un dato oggettivo come quello della precarietà economica) anche e soprattutto ad un egoismo congenito nella personalità stessa di Galileo, avvertito in modo particolare dalla figlia Livia che, contrariamente alla sorella, soffriva molto la negligenza del Galileo-padre, sempre sacrificato all’alter ego del Galileo-ricercatore, tanto da rompere del tutto i rapporti con il genitore.
Pochi fra studiosi e filologi dell’era recente hanno tralasciato questo intrigante aspetto della personalità dell’inventore pisano, individuato con particolare chiarezza da Gemonat che a tal proposito sentenziava: “Anche gli uomini più grandi portano spesso, nel proprio carattere, qualche lato indegno della loro grandezza”.
Tra i lati non esattamente “grandi” del suo carattere possiamo annoverare con una certa sicurezza la sua Vanità, quando smetteva di essere semplice ambizione o robusta fiducia in se stesso. Conformemente alla nuova figura dell’intellettuale e ai già citati dettami della scuola in età moderna egli teneva all’aspetto divulgativo delle proprie tesi: attraverso il potente mezzo dell’uso del volgare mise d’innanzi alle folle, alle piazze, dibattiti che fino a poco prima erano un’ esclusiva degli ambienti dotti. Alla base di tale intraprendenza la ferma volontà di scavalcare gli altri scienziati per avere presa direttamente sull’uomo comune, di rifiutare l’elite intellettuale in favore della numerosa collettività popolare e di un seguito più ampio.
Justus Sustermans, Ritratto di Galileo Galilei, 1636
Tutto ciò nell’ingenuità di chi sopravvaluta la massa a tal punto da non accorgersi che essa non possiede i requisiti per affrontare questo tipo di questioni, per altro ancora non portate ad una vera conclusione nemmeno nello stesso mondo intellettuale.
Qualcuno ha sostenuto un’interessante ipotesi secondo la quale Galileo sarebbe stato all’origine del diffondersi dell’ ”autoritarismo dello scienziato” in epoca positivista: il lavoro da lui inaugurato si identificherebbe lo stesso che alla fine dell’Ottocento avrebbe identificato lo scienziato con il vate della conoscenza assoluta. Nel progetto di Galileo pesava indubbiamente il desiderio di spingere la scienza e la ragione umana oltre ogni limite, al fine di far loro possedere un campo d’azione che fosse del tutto illimitato: nei propri sogni più inconfessabili egli si vedeva come un Custode del Sapere Assoluto, raggiunto attraverso lo sforzo e la contestazione ma arrivato finalmente ad un insindacabile punto di arrivo a cui lui stesso aveva apposto un sigillo. Un progetto piuttosto ambizioso che ironicamente avvicinava Galileo a chi di lì a poco lo avrebbe processato: l’inquisizione ecclesiastica, i sacerdoti della Fede che, in quanto Verità Assoluta, non solo non poteva essere scavalcata dal nuovo sistema valori della ragione ma non poteva nemmeno permetterne la coesistenza con il proprio. In epoca post moderna sarebbe stata la scienza ad arrogarsi questo ruolo di difensore del sapere totalitario, e in qualche modo si può dire che i successori di Galileo abbiano preso il posto di coloro che lo condannarono.
Se è vero, dunque, che la Chiesa ha avuto gran parte della colpa durante il processo, è altrettanto innegabile che Galilei non può essere considerato in toto quell’Eroe candido e incorruttibile del libero pensiero che una propaganda forse troppo parziale ci ha finora fatto credere. Sofia Vanni Rovighi, esponente della filosofia cattolica, a tal proposito scrive:
O. Leoni, Ritratto di Galileo
"Non è storicamente esatto vedere in Galileo un martire della verità, che alla verità sacrifica tutto, che non si contamina con nessun altro interesse, che non adopera nessun mezzo extra-teorico per farla trionfare, e dall'altra parte uomini che per la verità non hanno alcun interesse, che mirano al potere, che adoperano solo il potere per trionfare su Galileo. In realtà ci sono invece due parti, Galileo e i suoi avversari, l'una e l'altra convinte della verità della loro opinione, l'una e l'altra in buona fede ma che adoperano l'una e l'altra anche mezzi extra-teorici per far trionfare la tesi che ritengono vera”.
Sempre la Rovighi riporta la nostra attenzione alla questione del rapporto con la famiglia: secondo la filosofa non è equo attribuire alla Chiesa una condanna morale accusandola di “delitto contro lo spirito” per il processo a Galileo,e trascurare la monacazione propinata alle due figlie da parte dello scienziato che, per quanto giustificata dall’epoca storica e dalle particolari condizioni economiche, è pur sempre un’imposizione piuttosto contraddittoria per chi doveva fare della ricerca antidogmatica il proprio Credo, affidando le figlie a chi riteneva il nemico della ragione, “prima prerogativa dell’uomo”. Pur di liberarsi dell’incombenza di Livia e Virginia, per altro, Galilei dovette usare ogni comoda conoscenza all’interno dell’ambiente ecclesiastico per trasgredire il limite minimo di età previsto per i voti monacali, costringendo le fanciulle ad una clausura quantomeno precoce. Conclude la stessa studiosa "Occorrerà anche tenere presente questo: quando si condanna severamente l'autorità che giudicò Galileo ci si mette da un punto di vista morale (da un punto di vista intellettuale, infatti, è pacifico che ci fu errore nei giudici…). Se ci si pone, dunque, da un punto di vista morale, non bisogna confondere questo valore con il successo. Tanto vale il tormento dello spirito del grande Galileo quanto il tormento dello spirito sconvolto della povera suor Arcangela, monacata a forza dal padre a 12 anni. E se poi si osserva che - diamine! - Galileo è Galileo, mentre suor Arcangela non è che un'oscura donnetta, per concludere almeno implicitamente che tormentare l'uno è colpa ben più grave che tormentare l'altra, ci si lascia affascinare dal potere e dal successo. Ma da questo punto di vista non ha più senso parlare di spirito: né per stigmatizzare i delitti compiuti contro di esso né per esaltarne le vittorie".
Capitolo Precedente
Indice
Capitolo Successivo
Formazione: il mondo fiorentino
La vita
La famiglia
L'uomo Galileo
FORMAZIONE: IL MONDO FIORENTINO
Benché nato a Pisa, Galileo fu fin dall’infanzia ampiamente influenzato dall’atmosfera culturale di Firenze. L’origine della famiglia e la sede della prima educazione giocarono un ruolo non indifferente sulla formazione della personalità di Galileo, della sua proverbiale curiosità.
Firenze, Duomo
A tenere banco, nelle grandi università italiane era ancora la cultura erudita e tradizionale cinquecentesca , che però aveva perso ogni aspetto costruttivo già nel secolo precedente quando le vivaci polemiche culturali che avevano reso grandi i centri universitari, si erano spente cedendo il passo ad un “dottrinarismo” enciclopedico e stagnante.
A tale morte culturale si opponevano con forza i movimenti umanistici, che avevano sede naturale nei nuovi centri politici, dove la cultura era scossa dall’esigenza di concretezza della ricerca tecnico-scientifica: ad un nuovo sapere così eclettico, vivace, spregiudicato cominciava ad andare stretto il modello collaudato della lezione frontale universitaria, al quale preferiva un più prolifico confronto diretto, una forma costruttiva di scambio che avveniva attraverso discussioni culturali o fitte corrispondenze. L’ambiente del vero sapere era divenuto quello delle corti signorili, dei palazzi, delle piazze, almeno fino all’istituzione stabile di accademie vere e proprie. Tra i progetti portati avanti da queste ultime spicca in maniera particolare la difesa e la tutela della lingua volgare e delle correnti che la adoperavano come mezzo d’espressione, al fine di arrivare (in chiara polemica anti-medievale) ad una massa di discenti il più possibile socialmente e numericamente estesa e di evitare la creazione di un’elite di sapienti. Ovviamente l’impiego di idiomi non-universali ma popolari comportava, di fianco ad una maggiore estensione del sapere, anche un carattere più locale di quest ultimo che in ogni centro assunse uno specifico indirizzo. Se a Napoli gli intellettuali si concentrarono specialmente sulla speculazione filosofica (in accezione anti-tradizionale e quindi anti-aristotelica, più vicina alle teorie platoniche e alla ricerca scientifica), con la liberazione dal dogmatismo e dall’erudizione di stampo ecclesiastico Roma riscopriva il piacere della curiosità nei confronti delle realtà storiche e delle problematiche artistiche e letterarie.
Firenze, Palazzo della signoria
Anche i nuovi ordini ecclesiastici, come quello dei gesuiti, si trovarono in una certa misura coinvolti in questo processo di riscoperta del sapere extra- dogmatico, sebbene il rigido controllo prudenziale da parte delle più alte autorità clericali fosse ancora un ostacolo effettivo. Venezia, dal canto suo, fu facilitata dalle liete condizioni di vita e dalla florida posizione geografica, che la rendeva uno dei porti di scambio imprescindibili per le attività commerciali e sede di una vita sfarzosa, di attrattiva europea. Si differenzia da tali realtà il tono della cultura fiorentina: presso la corte de’ Medici si accasarono i nuovi ceti sociali che portarono alla sublimazione delle energie sorte durante il periodo umanista. Sotto Cosimo De’ Medici tale processo prende il nome specifico di neoplatonismo con lo scopo di conferire una dimensione universale e idealistica alla ricerca artistico-scientifica.sviluppatasi nell’ultimo periodo. Seguendo la linea tracciata dal suo predecessore, Lorenzo aggiunse a tale idealismo un vivace e fantasioso realismo, “una giocondità di compartecipazione popolaresca a queste, un senso vivo - contro l’ideale del saggio – di una collettività spiritualmente comunicante nella vivacità di tutte le sue forme.”(A. Banfi). Tale freschezza spirituale ed idealistica si ritrovò tutto d’un tratto di fronte alla minaccia dell’ascetismo di Savonarola, dimostrandosi però così forte da saper sopravvivere alla restaurazione e rivivere nella repubblica, sotto la quale presero forma la concezione politica di Machiavelli, la novellistica popolare, la poesia satirica. Forme d’arte e d’espressione tanto diverse tra loro quanto poliedrica era la curiosità che dominava la Firenze culturale e letteraria e che permetteva al ceto intellettuale di spaziare in ogni campo di studio, grazie ad una grande abilità tecnica e al sopraccitato senso di collettività. L’abilità di Cosimo I consistette in tal senso, nell’aver saputo sorreggere questa particolare attitudine, senza sopprimerla o mortificarla, e indirizzarla verso il proprio interesse e quello del suo principato.
Insomma , smessa la propria funzione politica, il ceto borghese si apprestava ad assumere la non meno importante funzione social-culturale che il popolo fiorentino, così curioso, vivace e raffinato, avrebbe accettato meglio di qualsiasi altro: non furono pochi gli autori e gli artisti dell’epoca ad essere colpiti intensamente da quel particolare intrecciarsi di gente, situazioni, discorsi,realtà economiche e sociali nelle piazze fiorentine, all’imbrunire, quando le botteghe si chiudevano, i lavori finivano e la città intera si trasformava in un enorme scambio di idee, toni e significati: attività e partecipazione intellettuali che prescindevano dai ceti sociali e che, pur divagando ovunque, avevano la loro ubicazione prima nell’Accademia Fiorentina, inizialmente un pugno di giovani interessati alla letteratura e all’arte, poi uno dei mezzi maggiormente sfruttati da Cosimo per portare a compimento il proprio progetto di diffusione culturale: ed in questa spariscono e si dissolvono le specializzazioni, a favore di una curiosità estesa e generale, un sapere sempre in crescita che vive proprio da questa sua generalità, ovvero dalla varietà di esperienze, dal loro contrasto e dalla diversità di chi le sostiene.In questa declina ogni impostazione tradizionale stabilita a priori, l’obsoleto uso del latino decade prima solo nella letteratura e in seguito anche nel mondo scientifico dove la concretezza della sperimentazione tecnica esigeva l’uso di una lingua “viva” e realmente in corso, quale, appunto, il volgare. Nel 1563, un’altra accademia, quella del Disegno, sarebbe riuscita a realizzare ciò che la scuola precedente aveva solo teorizzato, impartendo nozioni fondamentali a quella generazione di artisti e intellettuali che poi avrebbero esteso il verbo negli anni a venire.
In tale ambiente si forgiò la personalità di Galileo, eterno curioso, inguaribile scettico prima che come scienziato, nella vita di ogni giorno.
LA VITA
Nasce, il 15 febbrario 1564, a Pisa da una nobile famiglia fiorentina, ormai avviata a decadenza economica. Il padre Vincenzo era un rinomato musicista e teorico musicale. A Firenze, dove la famiglia si trasferisce nel 1574, Galileo riceve una raffinata educazione di stampo prevalentemente artistico e letterario.
Pisa – immagine da
In seguito lo stesso padre, intenzionato a riportare le finanze della famiglia ai fasti di un tempo, tenta di avviarlo allo studio della medicina che avrebbe garantito al figlio un lavoro decisamente più remunerativo. Così nel 1581 Galileo si iscrisse alla facoltà di medicina di Pisa, dove seguì alcuni corsi tenuti da filosofi che si rifacevano alle teorie aristoteliche; nello stesso periodo lesse scritti di Platone ed Aristotele, e soprattutto si dedicò approfonditamente allo studio della matematica.
In quegli anni egli compì la sua prima scoperta: la legge dell'isocronismo del moto pendolare, raggiunta, secondo quello che sarà il tipico processo galileano, tramite l’attenta osservazione di un fenomeno: l’oscillazione di una lampada all’interno del duomo di Pisa.
Nel 1585 lasciò Pisa senza tuttavia riuscire a conseguire alcun titolo accademico, e ritornò a Firenze. Qui, concentrando la propria attenzione soprattutto sullo studio della geometria, in particolar modo quella archimedea, giunse contemporaneamente sia alle fondamentali ricerche sul baricentro dei solidi,dettagliamene enunciate nel Theoremata circa centrum gravitatis solidorum (1585), sia all'invenzione della bilancetta idrostatica, le cui fasi di lavorazione sono descritte nel trattatello in volgare La bilancetta (1586).
Frattanto, come testimoniano i suoi primi scritti letterari, ovvero le Due lezioni all'Accademia fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell'«Inferno » dantesco, le Postille all'Ariosto, le Considerazioni al Tasso, permane vivo come un tempo in lui quella passione per le lettere classiche, che non lo abbandonerà per il resto della sua vita.
Per merito del determinante appoggio ricevuto dall'astronomo e matematico Guido Dal Monte, ottenne nel 1589 la cattedra di matematica nello Studio di Pisa dove si trasferì nuovamente. Mosso da una cronica insoddisfazione nei riguardi delle conclusioni della scienza aristotelica, intraprese, «con grande scontento di tutti i filosofi» avversi alle novità, le ricerche sul moto ed iniziò a redigere il trattato De motu, rimasto per lungo tempo inedito. Intanto, successivamente alla perdita del padre, che gli lasciò sulle spalle il peso della responsabilità della madre, delle due sorelle e del fratello, la sua situazione economica si fece terribilmente difficile. A questo punto, alla ricerca di più sicure e favorevoli condizioni economiche e lavorative, nel 1592 riuscì a farsi assegnare la cattedra di matematica allo Studio di Padova. Nella città Veneta egli si trasferì e qui rimase per circa diciotto anni, da lui definiti come “li diciotto miliori anni della mia vita”. In questo nuovo ambiente fu in grado di stringere rapporti con alcuni fra gli uomini di cultura più in vista del suo tempo (fra i quali l’illustre Paolo Sarpi), e intrattenne relazioni epistolari con i più accreditati scienziati e studiosi europei quali Keplero, Gassendi, Welser. Gli interessi a cui Galileo si dedicò più assiduamente durante questo periodo padovano furono ancora una volta i più disparati come trapela chiaramente dai titoli delle sue opere: il Trattato di fortificazione, la Breve istruzione dell'architettura militare e Le Mecaniche, il Trattato della sfera ovvero cosmografia, e Le operazioni del compasso geometrico e militare. Frattanto, dalla convivenza con la veneziana Marina Gamba ha tre figli, due femmine e un maschio.
Dopo aver perfezionato l’invenzione del cannocchiale, arrivò per il fisico Toscano il momento della verifica definitiva che provava, una volta per tutte, l’efficacia del modello Copernicano della quale Galileo era convinto già da tempo. Proprio grazie al rivisitato cannocchiale infatti riuscì, osservando alcuni fenomeni celesti, ad arrivare ad una serie di conclusioni riguardo il carattere scosceso della superficie lunare, la scoperta di astri mai rilevati e dei quattro satelliti di Giove, successivamente battezzati Astri Medicei, in onore del granduca di Toscana, Cosimo II de' Medici.
Cosimo II de' Medici
Nel 1610 con la presentazione ufficiale di tali scoperte nel Sidereus Nuncius alla comunità scientifica internazionale Galilei arrivò ad un livello di fama tale da ricevere le nomine di primario matematico e filosofo granducale, con ottima retribuzione e per giunta senza obbligo di presenza alla cattedra. Il 1610 si rivelerà per lui anno ancor più proficuo per le scoperte sulle macchie solari, gli anelli di Saturno e il movimento a fasi di Venere. Il grande successo delle sue ricerche lo convinse a staccarsi dall’ ambiente accademico che ormai gli andava stretto e a tornare a Firenze per potersi dedicare anima e corpo all’osservazione. Un anno dopo incoraggiato dall’interesse mostrato dai nomi illustri della matematica e dall’astronomia del tempo, presentò i risultati della sua ricerca a Roma, dove, nonostante l’accesa ostilità mostrata dagli scienziati più tradizionalisti, ottiene l'approvazione distratta dai Gesuiti del Collegio Romano, ignari riguardo al fatto che il sistema Galileiano comprendesse implicitamente l’ammissione del modello planetario di Copernico.
Incoraggiato dall’ennesimo riconoscimento Galileo continuò la polemica contro la concezione aristotelica e tradizionale della scienza dapprima con la pubblicazione del Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono poi, nel 1613, accendendo un dibattito diretto con un gesuita nelle missive a Welser successivamente pubblicate come l'Istoria e dimostrazione intorno alle macchie solari e loro accidenti.
Cardinal Bellarmino
Come se non bastasse, prima ancora di scrivere le teorie che accreditavano il sistema copernicano, si arrogò il diritto, nelle quattro Lettere copernicane indirizzate a diversi destinatari, di rivendicare l’indipendenza e l’autonomia della scienza e della ragione rispetto alla religione. Fu la goccia che fece traboccare il vaso: nel 1616, il cardinal Bellarmino caldeggiava Galileo attraverso un decreto all’astensione dalla professione e dall’insegnamento “di modelli o teorie che siano incompatibili con quanto affermato dalle Sacre Scritture”.
Stupito, amareggiato ma lungi dal desistere nella sua opera di provocazione buttò ancora benzina sul fuoco con la pubblicazione de Il Saggiatore (1623), peraltro dedicato al nuovo papa Urbano VIII, suo amico di vecchia data, dove commenta il trattato Libra astronomica ac philosophica che il gesuita Orazio Grassi aveva scritto anni prima in occasione della comparsa di tre comete. Il Saggiatore fu il suo capolavoro polemico, e il suo successo fece sperare a Galileo una maggiore apertura da parte del Clero verso la scienza. Nel 1624 scrisse il celeberrimo Dialogo sui Massimi Sistemi, protagonista di una stesura lunghissima e travagliata a causa delle diverse modifiche attuate a posteriori per ottenere il permesso di stampa. Solo nel febbraio del 1632, dopo 8 anni, riuscì ad essere pubblicato quello che è considerato all’unanimità “il capolavoro della letteratura scientifica di ogni tempo”. Tuttavia sarebbe stato utopistico da parte dell’autore, già in condizioni precarie, pensare che dei contenuti così rivoluzionari come quelli del Dialogo lasciassero indifferente l’Inquisizione, la cui reazione non tardò invece a palesarsi: sequestrato il libro a Galileo fu ordinato di recarsi immediatamente a Roma poichè «veementemente sospetto d'eresia». Qui sarà processato per cinque mesi e condannato per aver disobbedito all'ingiunzione del 1616. Inoltre verrà emessa una sentenza a proibire il libro, mentre Galileo sarà abiurato e condannato al carcere formale. Tuttavia la sua sottomissione e il suo esplicito pentimento (uniti alla fama che ormai godeva a livello europeo),fecero sì che lo scienziato non venisse mai incarcerato ma soltanto relegato agli arresti domiciliari dapprima a Siena presso l'arcivescovo Ascanio Piccolomini, e poi nella villa di Arcetri, presso il convento in cui abitavano le figlie.
Anche in età molto avanzata continuò ad essere un punto di riferimento concreto per l’ambiente scientifico di tutta Europa; nonostante i gravissimi problemi alla vista che lo afflissero negli ultimi anni della vita riprese a scrivere, pur sotto l'occhio vigile dell'Inquisizione. Nel trattato Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica ed i movimenti locali (1638) pose le fondamenta per la nostra dinamica attuale. Inoltre, al fianco del fedele allievo e futuro collaboratore del figlio, Vincenzo Viviani, intraprese la stesura della Lettera sul candore della luna, la sua ultima opera.
Morì ad Arcetri, in quella che era stata la sede del suo esilio, l'8 gennaio del 1642 ma solo nel 1736 i suoi resti verranno seppelliti nella basilica di Santa Croce a Firenze.
LA FAMIGLIA
GLI ANTENATI
La famiglia Galilei risultò essere stata una delle più numerose della città di Firenze. Le origini ci portano ad un tale Tommaso di Bonajuto che fece parte del governo democratico di Firenze, succeduto nel 1343 al Duca d'Atene. Circa un secolo più tardi un altro membro della famiglia, "magister Galilaeus de Gaalilaeis", era stato medico illustre e gonfaloniere di giustizia. Un fratello del "magister” fu antenato di Vincenzio. La famiglia conobbe però un brusco decadimento dal punto di vista finanziario nel '500: furono proprio questi problemi di carattere economico a costringere Vincenzio a dedicarsi, oltre alla musica, anche al commercio.
I GENITORI
Vincenzio Galilei, padre di Galileo, nacque a Firenze nel 1520, dove divenne un affermato insegnante di musica e un abile liutaio, dopo essere stato anche mercante di stoffe.
Frontespizio dell’opera di Vincenzio Galilei, uno studio dedicato alla musica
Fu, per un certo periodo, studente di musica a Venezia, dove apprese dal suo maestro Gioseffo Zarlini la teoria musicale e si battè per una maggiore connessione tra teoria e pratica musicale.. Oggi raramente vengono eseguite le sue opere, ma a quel tempo Vincenzio si distinse per le sue originali composizioni e le innovazioni tecniche apportate nel settore. Proprio dal padre Galileo ereditò quel carattere combattivo che lo porterà a fare nuove scoperte e a portare innovazioni nella Fiolosofia Naturale comprovandole con esperimenti. In età avanzata Vincenzio pubblicò una serie di libri di spartiti per liuto e di teoria musicale. Se in passato la teoria musicale consisteva semplicemente in una discussione matematica riguardo all’armonia, Vincenzio Galilei contribuì a cambiare totalmente la prospettiva contemporanea sull’argomento scoprendo accordature del tutto innovative.
Nel 1563 si sposò con Giulia Ammannati (1538-1620) di Pescia e andò a vivere vicino a Pisa, in una zona fuori dalla città. Proprio in quel luogo nacque il loro primo figlio, Galileo. Quando la famiglia rientrò a Firenze nel 1572, il giovane Galileo rimase a Pisa con un parente della madre, Muzio Tebaldi un uomo di affari ed agente doganale in quella città.
Poche sono le notizie che ci sono giunte sul conto della madre e quelle poche non sono per nulla lusinghiere. Sembra che il suo carattere fosse intollerante e prepotente, motivo per cui Galileo non proverà rimpianto per gli anni dell’infanzia. Addirittura Galileo scrisse: "...di nostra madre intendo con non poca meraviglia che sia ancora così terribile, ma poiché è così discaduta ce ne saranno per poco, sì che finiranno le liti.".
Oltre il primogenito Galileo, Vincenzio ebbe altri due figli, Benedetto e Michelangelo, e quattro figlie, Anna, Livia, Lena e Virginia; di tre di loro si persero presto le tracce. Per quanto riguarda invece Virginia, Michelangelo e Livia, avranno un ruolo di primo piano nella vita di Galileo. Alla base dei continui affanni economici e del suo peregrinare ci saranno tra gli altri gli impegni che egli assumerà per provvedere alle esigenze finanziarie loro e della madre.
IL FRATELLO
Per quanto concerne il fratello Michelangelo nel 1627 rientrò in Italia e condusse la sua numerosa famiglia presso Galileo. Nel febbraio 1628 ritornò poi a Monaco. Decise allora di lasciare la moglie e i sette figli a carico di Galileo, salvo poi richiamarli improvvisamente accusando il fratello di non essersi sufficientemente preso cura di loro. Prima della sua morte, avvenuta nel gennaio 1613, arrivò però il chiarimento con Galileo, a cui nuovamente affidò moglie e figlie.
LA MOGLIE
Nel 1599 durante uno dei suoi frequenti viaggi a Venezia conobbe Marina Gamba che diverrà sua moglie, anche se in forma non ufficiale, e dalla quale avrà tre figli. Nessuno dei tre fu mai riconosciuto legalmente dal fisico: addirittura Virginia fu ufficialmente descritta come “figlia della fornicazione di Marina Gamba” mentre agli altri furono registrati all’anagrafe come “figli di padre incerto”. Tuttavia Galileo non si separò mai dalla moglie fino a quando non abbandonò Padova per ritornare a Firenze nel 1610; subito dopo la sua partenze Marina Gamba si sposò con Giovanni Bartoluzzi, in regolare matrimonio. Ma la separazione tra Galileo e la Gamba ebbe un carattere amichevole, come testimonia il fatto che alla partenza per Firenze Galileo le lasciò per qualche tempo il piccolo Vincenzo, e che intrattenne per vari anni col Bartoluzzi rapporti assai cordiali.
I FIGLI
Per quanto riguarda le due figlie, la prima, Virginia, decise di abbandonare Padova per seguire la nonna paterna che tornava a Firenze dopo una visita al figlio; la seconda, Livia, seguì invece il padre nel suo trasferimento.
Suor Maria Celeste, Virginia Galilei
In primo luogo il padre tentò di sistemarle a casa della nonna, ma questo tentativo fallì miseramente. Dunque non gli rimase altra possibilità che farle rinchiudere in convento. Verso la fine del 1613 entrarono così nel Monastero di San Matteo in Arcetri, ma, a causa della loro giovane età, non poterono prendere i voti fino al 1616 la prima e 1617 la seconda, al compimento del loro sedicesimo anno di vita. Esse assunsero il nome rispettivamente di suor Maria Celeste e suor Arcangela.
Per quanto riguarda la prima ella intrattenne una fitta corrispondenza con il padre dalla quale si hanno approfondite notizie sulle terribili condizioni di vita all’interno del convento. Proprio a causa di questa corrispondenza il rapporto fra Galileo e la figlia fu sempre molto affettuoso e resistette nel tempo. Per esempio nel 1628, in risposta ad una richiesta di aiuto da parte della figlia, Galileo accorse al convento a riparò personalmente la finestra e l’orologio oggetti della lamentela di Maria Celeste.
Nel 1631 dopo il processo egli acquistò la Villa “Il Gioiello” proprio accanto al convento di Arretri del quale poteva udire persino il suono delle campane: qui egli avrebbe dovuto scontare la pena impostagli dal tribunale ecclesiastico, ovvero la recitazione settimanale dei sette salmi penitenziali per tre anni di seguito.
Convento di Arcetri
A sobbarcarsi anche questo peso fu la stessa figlia, la quale però non riuscì a portare a termine l’impegno a causa dell’improvvisa morte avvenuta solo quattro mesi dopo. Nonostante ella fosse malata da tempo, infatti, riuscì a rimanere fino all’ultimo istante della sua vita un punto di riferimento imprescindibile per il padre.
La figlia minore Livia patì molto più profondamente la reclusione forzata nel convento: ella prese i voti e il nome di Suor Arcangela nel 1617 ma non riuscì mai ad adeguarsi alla difficile vita a cui era stata costretta e morì dopo pochi anni.
Vincenzo Galilei fu il figlio più vicino allo scienziato, il quale tentò senza successo di riconoscerlo dopo averlo inizialmente ripudiato. Egli collaborò anche con uno degli allievi di Galileo, Vincenzo Viviani.
L’UOMO GALILEO
La ben nota fine di Galileo Galilei, dopo il processo e la sua ammissione forzata, lo vede confinato presso la villa di Arcetri accanto al convento in cui aveva mandato le figlie qualche tempo prima: in particolare una di queste, Virginia, da sempre legata al padre da un particolare ed amorevole affetto che tuttavia non sembrava ricambiare in tutto e per tutto cotante effusioni.
Ottavio Leoni, Galileo Galilei florentino
Non è possibile trascurare infatti che lo scienziato non ha mai voluto riconoscere la paternità effettiva e legale delle sue due figlie femmine, in notevole contrasto con la predilezione smisurata manifestata nei confronti del primogenito Vincenzo. La stessa scelta di indirizzare le figlie alla clausura già in tenerissima età fu dovuta (oltre che ad un dato oggettivo come quello della precarietà economica) anche e soprattutto ad un egoismo congenito nella personalità stessa di Galileo, avvertito in modo particolare dalla figlia Livia che, contrariamente alla sorella, soffriva molto la negligenza del Galileo-padre, sempre sacrificato all’alter ego del Galileo-ricercatore, tanto da rompere del tutto i rapporti con il genitore.
Pochi fra studiosi e filologi dell’era recente hanno tralasciato questo intrigante aspetto della personalità dell’inventore pisano, individuato con particolare chiarezza da Gemonat che a tal proposito sentenziava: “Anche gli uomini più grandi portano spesso, nel proprio carattere, qualche lato indegno della loro grandezza”.
Tra i lati non esattamente “grandi” del suo carattere possiamo annoverare con una certa sicurezza la sua Vanità, quando smetteva di essere semplice ambizione o robusta fiducia in se stesso. Conformemente alla nuova figura dell’intellettuale e ai già citati dettami della scuola in età moderna egli teneva all’aspetto divulgativo delle proprie tesi: attraverso il potente mezzo dell’uso del volgare mise d’innanzi alle folle, alle piazze, dibattiti che fino a poco prima erano un’ esclusiva degli ambienti dotti. Alla base di tale intraprendenza la ferma volontà di scavalcare gli altri scienziati per avere presa direttamente sull’uomo comune, di rifiutare l’elite intellettuale in favore della numerosa collettività popolare e di un seguito più ampio.
Justus Sustermans, Ritratto di Galileo Galilei, 1636
Tutto ciò nell’ingenuità di chi sopravvaluta la massa a tal punto da non accorgersi che essa non possiede i requisiti per affrontare questo tipo di questioni, per altro ancora non portate ad una vera conclusione nemmeno nello stesso mondo intellettuale.
Qualcuno ha sostenuto un’interessante ipotesi secondo la quale Galileo sarebbe stato all’origine del diffondersi dell’ ”autoritarismo dello scienziato” in epoca positivista: il lavoro da lui inaugurato si identificherebbe lo stesso che alla fine dell’Ottocento avrebbe identificato lo scienziato con il vate della conoscenza assoluta. Nel progetto di Galileo pesava indubbiamente il desiderio di spingere la scienza e la ragione umana oltre ogni limite, al fine di far loro possedere un campo d’azione che fosse del tutto illimitato: nei propri sogni più inconfessabili egli si vedeva come un Custode del Sapere Assoluto, raggiunto attraverso lo sforzo e la contestazione ma arrivato finalmente ad un insindacabile punto di arrivo a cui lui stesso aveva apposto un sigillo. Un progetto piuttosto ambizioso che ironicamente avvicinava Galileo a chi di lì a poco lo avrebbe processato: l’inquisizione ecclesiastica, i sacerdoti della Fede che, in quanto Verità Assoluta, non solo non poteva essere scavalcata dal nuovo sistema valori della ragione ma non poteva nemmeno permetterne la coesistenza con il proprio. In epoca post moderna sarebbe stata la scienza ad arrogarsi questo ruolo di difensore del sapere totalitario, e in qualche modo si può dire che i successori di Galileo abbiano preso il posto di coloro che lo condannarono.
Se è vero, dunque, che la Chiesa ha avuto gran parte della colpa durante il processo, è altrettanto innegabile che Galilei non può essere considerato in toto quell’Eroe candido e incorruttibile del libero pensiero che una propaganda forse troppo parziale ci ha finora fatto credere. Sofia Vanni Rovighi, esponente della filosofia cattolica, a tal proposito scrive:
O. Leoni, Ritratto di Galileo
"Non è storicamente esatto vedere in Galileo un martire della verità, che alla verità sacrifica tutto, che non si contamina con nessun altro interesse, che non adopera nessun mezzo extra-teorico per farla trionfare, e dall'altra parte uomini che per la verità non hanno alcun interesse, che mirano al potere, che adoperano solo il potere per trionfare su Galileo. In realtà ci sono invece due parti, Galileo e i suoi avversari, l'una e l'altra convinte della verità della loro opinione, l'una e l'altra in buona fede ma che adoperano l'una e l'altra anche mezzi extra-teorici per far trionfare la tesi che ritengono vera”.
Sempre la Rovighi riporta la nostra attenzione alla questione del rapporto con la famiglia: secondo la filosofa non è equo attribuire alla Chiesa una condanna morale accusandola di “delitto contro lo spirito” per il processo a Galileo,e trascurare la monacazione propinata alle due figlie da parte dello scienziato che, per quanto giustificata dall’epoca storica e dalle particolari condizioni economiche, è pur sempre un’imposizione piuttosto contraddittoria per chi doveva fare della ricerca antidogmatica il proprio Credo, affidando le figlie a chi riteneva il nemico della ragione, “prima prerogativa dell’uomo”. Pur di liberarsi dell’incombenza di Livia e Virginia, per altro, Galilei dovette usare ogni comoda conoscenza all’interno dell’ambiente ecclesiastico per trasgredire il limite minimo di età previsto per i voti monacali, costringendo le fanciulle ad una clausura quantomeno precoce. Conclude la stessa studiosa "Occorrerà anche tenere presente questo: quando si condanna severamente l'autorità che giudicò Galileo ci si mette da un punto di vista morale (da un punto di vista intellettuale, infatti, è pacifico che ci fu errore nei giudici…). Se ci si pone, dunque, da un punto di vista morale, non bisogna confondere questo valore con il successo. Tanto vale il tormento dello spirito del grande Galileo quanto il tormento dello spirito sconvolto della povera suor Arcangela, monacata a forza dal padre a 12 anni. E se poi si osserva che - diamine! - Galileo è Galileo, mentre suor Arcangela non è che un'oscura donnetta, per concludere almeno implicitamente che tormentare l'uno è colpa ben più grave che tormentare l'altra, ci si lascia affascinare dal potere e dal successo. Ma da questo punto di vista non ha più senso parlare di spirito: né per stigmatizzare i delitti compiuti contro di esso né per esaltarne le vittorie".
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VERA
lunedì 20 aprile 2009
Convegno Internazionale: Il “caso Galileo”

Care colleghe, vi segnalo un interessante convegno su Galileo infatti per celebrare il Giubileo Galileiano, Firenze ospiterà dal 26 al 30 maggio 2009 il Convegno Internazionale di Studi: "Il Caso Galileo, una rilettura storica, filosofica, teologica".L'iniziativa, organizzata dalla Fondazione Stensen, riunirà 18 autorevoli istituzioni laiche e cattoliche rappresentative della vita culturale e scientifica del nostro paese, tra cui il Consiglio Nazionale delle Ricerche. In particolare, il Cnr ha finanziato un Bando per la partecipazione al Convegno di 20 giovani dottorandi e ricercatori, italiani e stranieri.
Il Convegno Internazionale, che ospiterà gli interventi dei massimi esperti e studiosi mondiali delle questioni galileiane, proporrà al centro del dibattito tematiche quali: Cosmologia e Teologia, la condanna del 1616, il Caso Galileo.
La giornata inaugurale, il 26 maggio, sarà aperta alla cittadinanza nella Basilica di Santa Croce, in cui riposano le spoglie di Galileo e vedrà la presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il Convegno si terrà poi nell'Auditorium del Palazzo dei Congressi fiorentino e si chiuderà con una tavola rotonda sulla figura di Galileo Oggi presso "Villa il Gioiello", l'ultima dimora di Galileo.
Ulteriori notizie sono reperibili nel sito http://www.galileo2009.org dove è possibile trovare on line l'intero programma del Convegno.
Lucia Difonzo
venerdì 17 aprile 2009
Spazio ritrovato
Finalmente ho uno spazio "virtuale" interamente mio. C'è bisogno di un cannocchiale....
Complimenti
Il blog sarà necessario per scambiarci idee e crescere nella conoscenza delle tecnologie informatiche.
Pina
Pina
sabato 4 aprile 2009
L'antico rapporto tra uomo, sole e cielo
" La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi e altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto".
(Galileo Galilei).
Questo scritto di Galileo Galilei, esprime oltre ad una infinita fiducia nella capacità umana di comprendere l'universo anche una implicita spiritualità propria di alcuni dei più grandi scienziati mai esistiti come Newton e Einstein.
Il laico che vanta indipendenza di giudizio e azione rispetto alle posizioni e alle imposizioni di un potere teocratico qualsiasi, non necessita di un luogo espressamente dedicato per riconoscere Dio, tuttavia è importante anche e soprattutto per un laico mantenere un contatto anche fisico con la divinità.
Per concretizzare i mezzi adeguati ad indagare e mantenere questo contatto è fondamentale leggere la natura stessa del rapporto tra spirito e materia.
"E due grandi luminari Iddio creò, grandi nel loro scopo per l'uomo. Il maggiore a governar di giorno, il minore di notte ad alternarlo".
(Milton, Sansone agonista).
Dio ha scritto l'universo nei termini mirabilmente espressi da Galileo. Egli si esprime e si manifesta a noi attraverso le leggi che regolano l'universo, noi forse non possiamo comprendere i pensieri di Dio (obiettivo che si poneva Einstein "Non mi interessa questo o quel particolare fenomeno fisico, io voglio sapere cosa pensa Dio!") ma possiamo percepirlo nel suo creato.
Per Milton lo scienziato italiano rappresenta un simbolo della Nuova Scienza e un martire della libertà intellettuale. Così l’incontro tra Milton e Galilei è stato interpretato da molti, anche a livello popolare. Lo testimoniano le numerose opere poetiche e pittoriche che sono state dedicate all’episodio, come l’incisione pubblicata sull’Art Journal di Londra nel 1864 che è sopra riprodotto.
Milton fa riferimento a Galileo in tre occasioni nella sua opera principale, il “Paradiso Perduto” (Paradise Lost), un poema epico in dodici canti sulla creazione, la caduta dell’uomo, la sua cacciata dall’Eden, lo schema divino della sua redenzione. Il poema, considerato uno dei capolavori della letteratura universale, fu scritto tra il 1658 e il 1665. Tutte tre le volte il pisano è associato allo strumento che gli aveva assicurato la fama, il telescopio. Galileo è il solo contemporaneo menzionato nel poema, una volta per nome e due volte attraverso una perifrasi.
Le macchie solari
Il secondo accenno a Galileo contenuto nel Paradise Lost si trova nel terzo libro (vv. 588-590), nel passo in cui Satana atterra sul Sole prima di iniziare la sua discesa sull’Eden. In questa occasione Milton paragona l’angelo caduto a una macchia solare:
There lands the Fiend, a spot like which perhaps
Astronomer in the Sun's lucent Orbe
Through his glaz'd Optic Tube yet never saw.
Là approda il Demonio, una tale macchia che forse
l’Astronomo nella lucente Sfera del Sole
con il suo vitreo Tubo Ottico mai non vide.
È certo che Milton conoscesse gli scritti di Galileo sulle macchie solari, in cui di nuovo veniva criticata senza remore la posizione aristotelica, divenuta dottrina per la chiesa. In una lettera all’accademico dei Lincei Federico Cesi (colui che avrebbe inventato la parola “telescopio”), datata 12 maggio 1612, lo scienziato invia una copia delle sue prime osservazioni, dicendo:
Circa le quali macchie io finalmente concludo, e credo di poterlo necessariamente dimostrare, che le sono contigue alla superficie del corpo solare, dove esse si generano e si dissolvono continuamente, nella guisa appunto delle nugole intorno alla terra, e dal medesimo sole vengono portate in giro, rivolgendosi egli in sè stesso in un mese lunare con revolutione simile all'altre de i pianeti, cioè da ponente verso levante intorno a i poli dell'eclittica: la quale novità dubito che voglia essere il funerale o più tosto l'estremo et ultimo giuditio della pseudofilosofia, essendosi già veduti segni nelle stelle, nella luna e nel sole; e sto aspettando di sentir scaturire gran cose dal Peripato [l’insieme dei filosofi aristotelici, o peripatetici] per mantenimento della immutabilità de i cieli.Galileo chiaramente riconosceva la natura rivoluzionaria delle sue dichiarazioni, anche se ancora non si rendeva conto delle conseguenze che giudizi simili avrebbero creato sulla sua carriera e nei rapporti tra la chiesa e la nuova scienza che stava contribuendo a far nascere.
Il nocchiero nell’Egeo
L’ultimo riferimento a Galileo si trova nel quinto libro del poema (vv. 261-266). Questa volta il suo nome viene fatto direttamente, in un passaggio che descrive con intensità la discesa dell’arcangelo Raffaele, giunto ad ammonire Adamo per l’ultima volta:
(…) As when by night the Glass
Of Galileo, less assur'd, observes
Imagined Lands and Regions in the Moon:
Or Pilot from amidst the Cyclades
Delos or Samos first appearing kenns
A cloudy spot (…).
(…) Come quando di notte la Lente
di Galileo, meno sicura, osserva
Terre immaginate e Regioni sulla Luna:
o il Nocchiero in mezzo alle Cicladi
guarda il comparire di Delo o Samo,
una cupa macchia. (…).
Grazie al potere del suo strumento, Galileo è qui l’esploratore che cartografa le regioni del nostro satellite e scorge i contorni incerti di nuove terre, come il nocchiero di una nave che sia avvicina alle isole egee. Nel Sidereus Nuncius egli descrive la visione telescopica in termini entusiastici sin dall’inizio: nella dedica a Cosimo II de’Medici suggerisce che le stelle possono essere considerate incorruttibili monumenti. Prima di dedicare le lune di Giove appena scoperte alla famiglia regnante, afferma infatti:
Alcuni però che guardano a cose più salde e durature consacrarono la fama eterna di uomini sommi non a marmi o metalli, ma alla custodia delle Muse e agli incorrotti monumenti delle lettere. Ma perché ricordo queste cose? quasi che l'ingegno umano, contento di queste regioni, non abbia osato andar oltre: invece, guardando più lontano, avendo ben compreso che tutti i monumenti umani per violenza di tempeste o per vecchiezza alfine muoiono, pensò più incorruttibili monumenti, sui quali il tempo vorace e l'invidiosa vecchiezza non potessero reclamare diritti. E scrutando il cielo affidò a quei noti eterni Globi di chiarissime Stelle i nomi di coloro che per opere egrege e quasi divine furono stimati degni di godere insieme agli Astri l'eternità. Per questo non si oscurerà la fama di Giove, Marte, Mercurio, Ercole e degli altri eroi con i cui nomi si chiamano le Stelle, prima che lo splendore delle stesse Stelle.
In questo caso, tuttavia, Milton non sembra condividere l’entusiasmo dello scienziato: una nota di ambiguità emerge nel suo riferimento. La lente di Galileo è less assur’d, meno sicura, e osserva Imagined Lands (Terre immaginate). Al di là della celebrazione dell’invenzione e delle nuove osservazioni da questa rese possibili, emerge un sottile dubbio. Milton, il religioso poeta che fu ministro di Cromwell, nella maniera allusiva e contorta che caratterizza lo stile poetico della sua epoca, adombra l’idea che il nostro progresso nella conoscenza possa essere un’illusione e che la visione dell’uomo, per quanto prodigiosamente accresciuta dai nuovi strumenti, non potrà mai eguagliare quella divina. Una parola accompagna infatti tutti i riferimenti a Galileo e al telescopio: “macchia” (spotty Globe, a spot … yet never saw, a cloudy spot), quasi a significare che l’imperfezione riscontrata nel cielo sia la stessa dell’umanità che la osserva.
Immerso nella natura perché elemento di essa, l'uomo ha sempre avuto un rapporto stretto con gli astri; con il Sole principalmente, che da calore e vita, e con la Luna che con la sua luce rischiara le notti e che con il mutare continuo ma periodico della sua forma consente la misurazione e il conteggio di lunghi periodi di tempo.
La regolarità dei cicli degli astri: il sorgere e tramontare del Sole, per esempio, o l'evolversi delle fasi lunari, così come il movimento regolare e preciso della sfera celeste con tutte le sue splendenti stelle ha sempre affascinato l'uomo tanto da fargli percepire questi avvenimenti come l'espressione diretta della perfezione divina. Ciò è tanto vero che, in passato molti templi venivano costruiti con criteri legati al movimento degli astri. E' proprio in questa capacità di percepire che possiamo trovare il legame primordiale tra noi e Dio. Per costruire questa interfaccia faremo così riferimento a ciò che è immediatamente percepibile nell'universo e che ha affascinato per millenni la civiltà umana: la volta celeste e la sua perfetta meccanica.
Siamo convinti che il viaggio all'interno di questo mondo ci permetterà di scoprire i caratteri e le potenzialità del codice di comunicazione tra Dio e l'uomo.
L’interesse degli studiosi di Galilei si colloca, grazie a Milton “su un orizzonte ermeneuticamente insaziabile” sia per l’importanza del ruolo dello scienziato “nella storia della scienza e della filosofia, dell’esegesi biblica e della chiesa nell’età moderna sia nella storia della letteratura e persino del cinema” come sostengono Spreafico- Barigazzi nel libro Scienza, coscienza e storia del caso Galilei (2007) .
La storia interiore travagliata a causa delle vicende con la chiesa hanno segnato l’uomo e lo scienziato. La “Compagnia di Galileo” ha lottato contro gli oppositori noti come “Domenicani o Francescani” e si è affermata come nuova compagnia dei cultori di filosofia naturale da cui nasce la scienza moderna non più controllata dalle “vecchie compagnie” appartenenti alla Chiesa e alle Università.
La subordinazione della filosofia e della teologia alle autorità della Chiesa fu una delle cause della separazione della via della Chiesa dalla via della Scienza.
Galilei spesso è stato accostato a Pascal più che a Cartesio perché considerato uomo di fede e su questo paragone scriverò ancora.
Concludo con altri versi tratti dal Paradise lost di John Milton:
“Pari all’orbe lunar, quando dal poggio
Di Fiesole o in Val d’Arno il sapiente
Tosco lo guarda sulla sera armato
D’astronomiche lenti; e nuove terre
Nuovi fiumi e montagne il maculato
Globo gli svela.”
“Cielo terrestre, accerchiato da altri
Cieli, che danzano e risplendono, e reggono
al tuo servizio i luminari accesi, soltanto
per te, luce su luce, o così almeno sembra,
concentrando in te quei raggi preziosi
di sacra influenza.”
John Milton, Paradise lost IX
Raffaella Scelzi
saluti di benvenuto
Salve a tutte le colleghe che collaborano a questo blog e buon lavoro a tutte!
Il mio primo saluto è rivolto a coloro che vorranno leggere i nostri contributi dei quali avrete dimostrazione negli articoli a vostra disposizione. Gli articoli che scriverò in prima persona riguarderanno il tema sviscerato alla luce delle mie conoscenze in ambito linguistico inteso in senso ampio essendo docente di lingue (Inglese/Francese), di sostegno e appassionata di L.I.S. e semiotica. A presto Raffaella.
venerdì 3 aprile 2009

Il gruppo di Spinazzola parte oggi con il blog CANNOCCHIALE SCOLASTICO, un punto di incontro dove far convergere tutti i contributi disciplnari ed extra delle docenti dell'Istituto comprensivo coinvolte nel corso di formazione P.O.N. tic2 "le tecnologie della didattica".
Questo blog nasce con l'intento di celebrare l'anno astronomico e in particolare la ricorrenza dei 400 anni dall'uso del canocchiale di Galileo Galilei. Attorno alla figura del grande scienziato italiano vorremmo incentrare le nostre riflessioni.
Con la grande ambizione di favorire l'incontro tra discipline umanistiche e scientifiche.
INVITO SPECIALE
tutti i contributi sono importanti "L'unione fa la forza!!"
Questo blog nasce con l'intento di celebrare l'anno astronomico e in particolare la ricorrenza dei 400 anni dall'uso del canocchiale di Galileo Galilei. Attorno alla figura del grande scienziato italiano vorremmo incentrare le nostre riflessioni.
Con la grande ambizione di favorire l'incontro tra discipline umanistiche e scientifiche.
INVITO SPECIALE
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